Live Arts Week si svolge a Bologna in diversi spazi, dal 27 aprile al 30. La redazione del laboratorio Bologna Teatri sperimenta per questa occasione una modalità di scrittura veloce: brevi dispacci quotidiani che escono il giorno successivo alla visione, frutto di scritture individuali e collettive. Il programma del festival è disponibile sul sito dell’evento
Giochi di memoria
Nel mezzo del cammin’ di nostra vita. Nella mitologia classica, la Prova centrale è una fase in cui ci si aspetta che l’eroe muoia. Si addormentò sulla riva del fiume, lei in cima ad un ramo. Si sbagliava, la colomba, si sbagliava.
Queste frasi sono la scarna somma degli estratti delle nostre memorie letterarie. C’è chi ha imparato interi libri. Time has fallen asleep in the afternoon sunshine di Mette Edvardsen è una biblioteca di libri viventi, parlanti e – a volte – umanamente incompleti. L’idea, come la frase che fa da titolo all’operazione, deriva da Farenheit 451 di Ray Bradbury, dove in un futuro immaginario i libri nella loro materialità vengono distrutti da un sistema politico coercitivo e solo la memoria umana può preservarne i contenuti come racconto orale. Questo atto performativo mette alla prova l’idea di Bradbury – i libri memorizzati vengono poi riscritti e pubblicati, ma saranno gli stessi? Per i partecipanti al progetto, inoltre, il libro, interiorizzato, diventa il compagno costante delle attese. La ripetizione, a sè e agli altri è il meccanismo attraverso il quale viene permessa la memorizzazione fedele. Fedele non solo al libro, ma anche alle immagini che dalle sue letture provengono: infatti una delle ri-edizioni è correlata dalle illustrazioni evocate nella memoria del ri-autore. Questa operazione creativa si è svolta nuovamente ieri 26 aprile alla galleria p420, come performance dell’artista Mette Edvardsen, artista e coreografa contemporanea ideatrice del progetto, e allo spazio localedue dall’altra parte della strada di Via Azzo Gardino come esposizione dei libri, filtrati dalle memorie dei volontari, da loro riscritti e stampati. Questo è il primo approdo che accoglie noi tre, cronisti di Bologna Teatri, alla Live Arts Week 2017. Una partecipante al progetto ci ha raccontato cosa significa per lei tenere un intero libro in testa. Può essere un compagno, può essere una maledizione, una dipendenza o un sogno. Il libro prende vita dalla mente, occupa intere giornate, interi mesi. E vuole essere di nuovo pronunciato al pubblico, o riscritto. Time has fallen asleep in the afternoon sunshine è un lavoro nel tempo e sul tempo, una riflessione sul potere della memoria e sulla sua comunicabilità e persistenza. Questioni profondamente contemporanee. Dalle testimonianze dei partecipanti al progetto risulta evidente il valore che l’operazione di Edvardsen riveste per gli uomini-libro. Esseri umani che si ri-funzionalizzano, acquisendo uno statuto diverso e una funzione potenziale nuova. Altrettanto chiaro ne è il valore artistico, di trasposizione dell’invenzione letteraria in realtà effettuale. Potrebbe, forse, invece essere messo in dubbio il senso di riproporre la performance di riscrittura dell’artista in occasione della Live arts Week, essendo già stato pubblicato l’esito dell’operazione. Questo testo è stato scritto a tre mani, tre memorie di questa esperienza. Un atto forse a sua volta perfomativo davanti alla performance. Lule Sciannamblo, Alan Carraro, Rau Rautenberg Evacuazioni vocali Mattin è un artista basco che si occupa di noise e improvvisazione e Miguel Pardo è la storia di una vita umana che Mattin si porta appresso, così è scritto nei fogli di sala. Evacuation of the voice, installazione sonora visitabile il 26 aprile alla galleria CAR DRDE, si presenta ai profani come una stanza percorsa da suoni umani, rantoli, urla, colpi di tosse tutti registrati e diffusi tramite amplificatori. In realtà, Mattin e Miguel ipotizzano che la voce, come il volto, siano i veicoli privilegiati di rappresentazione codificata dell’Io, e tentano di scarnificare la vocalità presentandola depurata dai suoi vizi di forma e abitudine, mediante un processo di de-personalizzazione soggettiva. Tenendosi a distanza dai condizionamenti del pensiero. Alle 19.30, presso la galleria P420, Evacuation of the voice è presentata come performance, eseguita da Margherita Morgantin e Martina Raponi. Il pubblico si assiepa in uno spazio abbastanza ridotto, delimitato da una striscia adesiva, vicino all’ingresso. In mezzo alla sala uno schermo a tubo catodico trasmette delle sequenze di lettere simili a parole inglesi; forse anagrammi. Sul fondo un materasso, e le due performer sedute una di fronte all’altra che si guardano. Le luci sono spente. Entra luce naturale dalle finestre poste in alto a sinistra e a destra, e luce artificiale dalla porta da cui il pubblico è entrato, che è stata lasciata aperta. Parole isolate, intervallate da lunghi momenti di silenzio verbale, vengono dette, sussurrate, gridate dalle due, che sono collegate a un sistema di amplificazione. Le parole spezzano il ritmo di suoni e rumori, che escono dalle casse in modo costante, a volume contenuto. “Evidence”, “incursion”, “damage”, “sintax”, “obsession”, e poi “countdown”. Il rumore di fondo, diventato un’interferenza di trasmissione, si intensifica sempre più fino a infastidire, Mattin invita caldamente il pubblico a uscire, è trascorsa circa un’ora e mezza. Alessandro Carraro]]>L'autore
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Redazione intermittente sulle arti sceniche contemporanee.