Immersion Suono di onde infrante sulla spiaggia, di acqua che gocciola o zampilla, un fascio di luce blu, orizzontale sul fondale, due tavolini in scena. Una donna vestita di nero, i capelli biondi e lunghi sciolti, inizia la sua danza, fatta di movimenti fluidi che disegnano nello spazio simboli e geometrie liquide. È Carolyn Carlson, interprete e coreografa di Immersion, il primo dei tre assoli che compongono Shorts Stories, andato in scena al Teatro Duse giovedì 23 marzo. La danzatrice utilizza la parte superiore del corpo in modo superbo, il busto, le braccia e le espressioni del volto descrivono una geografia interiore che ha nell’acqua il suo elemento costante. Utilizza anche un bicchiere d’acqua, un contenitore di sale e un pennello. Il simbolismo di tali oggetti rimane in parte misterioso, di certo emerge l’importanza dell’oro blu come fonte di vita, da cui proveniamo e di cui siamo in gran parte composti. L’acqua è del resto l’elemento naturale in cui la coreografa si riconosce e che ricopre un’importanza fondamentale nella sua biografa anche perché rappresenta Venezia, città in cui ha lavorato per diversi anni (alla Fenice e alla Biennale). In un’intervista rilasciata due anni fa afferma: «I’m a Water lady… I am fluent, I am water, I am transparent». Wind Woman Il vento è l’elemento chiave della seconda pièce, non solo come forza della natura, ma anche come respiro, dell’uomo e dell’universo. L’interprete, Sara Simeoni, abito bianco lungo e leggero, capelli rossi sciolti e quasi sempre coprenti il volto, è portata da una parte all’altra del palcoscenico da una forza superiore, che può essere la bora, la brezza primaverile, o anche gli eventi della vita, da cui a volte è trascinata, e a cui altre volte oppone una strenua resistenza. [caption id="attachment_1207" align="alignnone" width="914"] “SHORT STORIES” – Choregraphie: Carolyn Carlson – Interpretation : Sara Orselli – Au Colisee de Roubaux le 26.05.2010[/caption] Mandala Il primo assolo che la coreografa crea per Sara Orselli, danzatrice italiana da molti anni nella compagnia della Carlson, può essere visto come la trasposizione di un mandala in un corpo umano. All’interno dell’enso, il cerchio che nel buddhismo zen simboleggia l’universo e il gesto artistico perfetto, disegnato sul palco con la sabbia, e dell’intricato fascio di luce che proviene dall’alto formando un cono rovesciato, Sara danza, girando su se stessa. Sembra far parte di un rito antico, sacro, collegato tanto alla natura e ai suoi ritmi quanto al significato profondo dell’arte, che riguarda la vita e il mondo. Carolyn Carlson, formatasi alla scuola di Alwin Nikolais a New York, si dice ammiratrice di Pina Bausch, Robert Wilson e Giorgio Strehler. Oltre a ballare, scrive componimenti e definisce il suo lavoro visual poetry: la sua danza, a differenza del balletto classico che racconta delle storie, ha le stesse radici della poesia, è indefinita, ma cerca di toccare le corde più intime dell’uomo. I tre brevi assoli femminili presentati, pubbliche condivisioni di solitudini private, ci lasciano sicuramente un assaggio della sua visione dell’arte, astratta ma vicina a noi. Nonostante la ripetitività di alcuni stilemi, la Carlson riesce a coinvolgere diverse fasce di pubblico e a proporsi ancora come un nome di rilievo nella danza di oggi. Marta Buggio]]>
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Redazione intermittente sulle arti sceniche contemporanee.