Su una strada sterrata incorniciata da grandi massi rovinati da una costola di montagna, un corpo riverso abbraccia inerme una roccia. La testa si abbandona nell’ammasso granitico. Potrebbe essere la descrizione di uno scatto di nera, uomo trovato morto in una cava, incidente sul lavoro. La foto esiste davvero, è in bianco e nero ed è di Andrea Berti; mentre l’uomo riverso è Stefano De Ponti, artista che del suo volersi smarcare dal mercato competitivo delle idee ha fatto una pratica del metodo compositivo.
Stefano De Ponti nasce musicista classico, a Milano, ma si avvicina all’elettronica e alla drammaturgia del suono quando inizia a collaborare con compagnie indipendenti di teatro-danza come NUT, nata in seno a Corte Sconta dal duo Barbara Geiger e Franco Reffo. Ricreare atmosfere originali per aiutare lo spettatore a godere di ciò che vive in scena e fuori da essa è l’iniziale approccio di De Ponti alla composizione per la forma d’arte che si manifesta solo nella compresenza. Con il passare del tempo, questa pratica di studio dello spazio e del suono come di due entità non distinte culmina con una vera e propria esigenza di esplorare, senza nessuna finalità produttiva, le potenzialità dell’ascolto immersivo. Dopo anni di lavori portati in scena insieme a Michele Bandini, Menoventi, Daria Deflorian e Phoebe Zeitgeist, dove il suono era l’altro attore in scena, quello che non si vede ma che fa pulsare lo spazio scenico entrando a far parte della drammaturgia come elemento poetico, De Ponti sceglie di dedicarsi alla composizione di episodi sonori unici, irripetibili, dove la fisicità dell’hortus conclusus teatrale è soppiantata dal contatto diretto, fisico, tra onde sonore e parti del corpo. Per fare questo si è allontanato da Milano, dall’atrofia generata dall’accumulo di commissioni e dall’angoscia stagionale dei bandi. Trasferitosi a Pescia, in Toscana, ha iniziato a inoltrarsi in una cava di pietra serena situata nei monti circostanti, paesaggio che durante i mesi ovattati della pandemia doveva apparire ancora più incombente e simbolo di uno sfruttamento.
Credits
Questo podcast fa parte di “Corpo alle ombre”, un ciclo di podcast dedicato ai musicisti di scena, a cura di Alex Giuzio e Giulia Penta, parte del progetto “Turn on your ears” di Altre Velocità, sostenuto dal Ministero della cultura e dalla Regione Emilia-Romagna.
I brani di De Ponti contenuti nel podcast, in ordine di ascolto, sono tratti dagli spettacoli Aspra di Phoebe Zeitgeist, L’Uomo della Sabbia di Menoventi, B-Sogno di Michele Bandini, Talita Kum di Riserva Canini, La vita agra del dottor F. di Menoventi, I bei giorni di Aranjuez di Daria Deflorian. L’ultimo brano è Impermanenze, tratto dall’album La natura delle cose ama celarsi di Stefano De Ponti.
Si ringraziano Stefano De Ponti per la concessione dei brani, Riccardo Leotta per la sigla e Pier Carlo Penta per l’assistenza tecnica.
Gli autori
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Giornalista, si occupa di teatro e di economia ed ecologia legate alle coste e al turismo. Fa parte del gruppo Altre Velocità dal 2012 e collabora con le riviste Gli Asini e Il Mulino. Ha curato e tradotto un'antologia di Antonin Artaud per Edizioni E/O e ha diretto la rassegna biennale di teatro "Drammi collaterali" a Cervia. È autore de "La linea fragile", un'inchiesta sui problemi ambientali dei litorali italiani (Edizioni dell'Asino 2022), e di "Critica del turismo" (Edizioni Grifo 2023).
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Si occupa di cultura e teatro. Ha lavorato per Emilia Romagna Teatro e sostiene il giornalismo d'inchiesta con l'associazione Dig.