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Corpo alle ombre #2. Alessandra Novaga

di Alex Giuzio, Giulia Penta

Alessandra Novaga è una delle chitarriste sperimentali più interessanti del panorama italiano. A lei dedichiamo la seconda puntata di “Corpo alle ombre“, il nostro ciclo di conversazioni sulla musica di scena.

Nonostante gli studi classici compiuti alla Musikhochschule di Basilea e portati avanti per trent’anni, la ricerca sonora di Novaga diventa una ricerca della dimensione, di un suono come habitus, infondendo alle sue composizioni una sospensione del significato che la avvicina al linguaggio poetico. Passando alla chitarra elettrica inizia a esporsi alla pratica dell’improvvisazione, interessandosi non tanto all’affinamento della tecnica o alla definizione di un metodo di lavoro, quanto allo stàre – nel senso originario di restare fermo, dimorare – in una dimensione spaziale espansa dove le armonie tornano a riflettere su se stesse, in un andamento lento e circolare. Non a caso, è la prima chitarrista in Italia a suonare l’integrale di The Book of Heads di John Zorn, un album fortemente sperimentale composto da 35 studi per chitarra dove il protagonista è il suono dello strumento, e non la musica.

Il tempo ritmico di Novaga riflette un tempo tutto interiore, che lascia dunque il passo alla metamorfosi, stessa condizione nella quale si ritrovano gli attori a teatro durante le prove: è forse per questo che il teatro come forma artistica e come luogo di scambio non poteva non intrecciarsi con il percorso di Novaga, a partire da un primo lavoro con Nicola Russo, passando per le numerose collaborazioni con Giovanni Isgrò e Phoebe Zeitgeist, fino ad arrivare al sodalizio con gli attori e le attrici di Invisibile Kollettivo (Franca Penone, Alessandro Mor, Lorenzo Fontana e Nicola Bortolotti), tra cui spicca Elena Russo Arman con la quale porta in scena al Teatro dell’Elfo il lirismo e l’intima solitudine di Emily Dickinson.

Il percorso artistico di Novaga è unico e fuori dagli schemi anche per la sua necessità artistica ed esistenziale di lasciarsi contaminare da progetti e visioni altrui, dove la musica diventa un mezzo per conoscere l’altro e conoscersi; aspetto che emerge fin dai suoi primi progetti solisti come Fassbinder Wunderkammer, ispirato dall’amato regista Rainer Werner Fassbinder, e si conferma nell’ultimo lavoro su Derek Jarman, I Should Have Been a Gardener.

Pur rifiutando l’idea di avere dei modelli a cui guardare, nel pantheon di Novaga ci sono musicisti come Derek Bailey, Fausto Romitelli, Marc Ribot e Loren Connors (con il quale ha suonato in duo lo scorso gennaio in un posto incredibile come l’ISSUE Project Room di Brooklyn). A detta di lei stessa, poi, definirsi compositrice sarebbe come arrogarsi un titolo che non le compete, in quanto è piuttosto una gestualità strumentale che la guida verso le sue sonorità («per me lo stile non è uno strumento, lo stile sono io», afferma nella nostra conversazione che è possibile ascoltare dal player qui in calce). La sua musica sembra originarsi da un substrato profondo, quello invisibile della roccia madre che frantumandosi dà vita agli orizzonti soprastanti, con un tempo espresso nella ripetizione attraverso un uso massiccio ma mai eccessivo di riverberi, delay ed effetti che contribuiscono all’intenzione meditativa del suono. Novaga esplora così il rapporto del suono con lo spazio, come la propagazione della sua plasticità, la sua eco, la sospensione della presenza. Il suono non informa l’ascoltatore, bensì lo transita da una riva all’altra dell’inconscio.

Ciò che fa di Alessandra Novaga un’artista a tutto tondo è infine il suo approccio interdisciplinare e il suo coraggio sperimentale, che la portano a intrecciare il suo sentire anche a progetti editoriali underground e a collaborazioni insolitamente colte come quella con Object Collection per il terzo episodio di Look Out Shithead, ispirato a Comédies et Proverbes di Éric Rohmer. Il chitarrista, musicologo e compositore Alan Licht le ha dedicato prima un’intervista per BOMB Magazine e poi uno spazio nel suo Common Tones, una raccolta di interviste inedite con le punte di diamante dell’avanguardia contemporanea, sancendo così il rapporto di Novaga con New York, sua città d’elezione. Nonostante il suo sguardo sia spesso rivolto oltreoceano e abbia all’attivo numerose co-produzioni concertistiche e discografiche internazionali, è con Stefano Pilia, altro grande chitarrista elettrico, che si muove in sincro, su un felice terreno tonale condiviso fatto di partiture istantanee dove la musica è in grado di coniugare natura e genere umano e di restituire al pubblico l’esperienza effimera, tipicamente (e tragicamente) umana del tempo, riassumibile proprio nel titolo del loro ultimo lavoro: Glimpses of a Day.

Credits

Questo articolo fa parte di “Corpo alle ombre”, un ciclo di podcast dedicato ai musicisti di scena, a cura di Alex Giuzio e Giulia Penta, parte del progetto “Turn on your ears” di Altre Velocità, sostenuto dal Ministero della cultura e dalla Regione Emilia-Romagna.

Si ringraziano Alessandra Novaga per la concessione dei brani, Riccardo Leotta per la sigla e Ilaria Cecchinato per il montaggio.

I brani di Novaga contenuti nel podcast, in ordine di ascolto, sono Melodia per Aline, Armonici, Morning at The Juniper Tree, Per Aline, Carillon.

È possibile ascoltare i lavori sonori di Alessandra Novaga sul suo sito www.alessandranovaga.com

Gli autori

  • Alex Giuzio

    Giornalista, si occupa di teatro e di economia ed ecologia legate alle coste e al turismo. Fa parte del gruppo Altre Velocità dal 2012 e collabora con le riviste Gli Asini e Il Mulino. Ha curato e tradotto un'antologia di Antonin Artaud per Edizioni E/O e ha diretto la rassegna biennale di teatro "Drammi collaterali" a Cervia. È autore de "La linea fragile", un'inchiesta sui problemi ambientali dei litorali italiani (Edizioni dell'Asino 2022), e di "Critica del turismo" (Edizioni Grifo 2023).

  • Giulia Penta

    Si occupa di cultura e teatro. Ha lavorato per Emilia Romagna Teatro e sostiene il giornalismo d'inchiesta con l'associazione Dig.

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