«Coniugare piacere, sorpresa e pensiero». È all’interno di questo delicato equilibrio che prendono forma le opere del regista, coreografo e danzatore valdostano Marco Augusto Chenevier, tra gli artisti selezionati per la sesta edizione di Festival 20 30, caratterizzata da una nuova attenzione della direzione artistica verso esperienze di ricerca e creazione nel campo della danza contemporanea.
Proprio in questa intersezione tra coinvolgimento del pubblico e radicale rivalutazione dei linguaggi e delle modalità espressive della danza si inscrive l’orizzonte e il lavoro ormai decennale di Chenevier, volto a una liberazione della danza dalle angustie disciplinari e dall’isolamento da cui è afflitta, specialmente in Italia. La proposta sperimentata con Quintetto, e approfondita nel suo seguito ideale Questo lavoro sull’arancia, punta tutto sul recupero di una relazione paritaria e diretta tra danzatore/performer e pubblico, scandagliando le dirompenti implicazioni celate dietro a una rinnovata assunzione di responsabilità e alla rivendicazione di sovranità in capo ad ogni singolo spettatore e alla comunità viva di cui è parte in teatro.
Cosa resta della danza se rinunciamo alla sofisticazione delle sperimentazioni sul linguaggio, spesso distanti e inaccessibili al pubblico? Cosa accade tra palco e platea se il rapporto gerarchico consolidato tra artista e spettatore viene minato alle fondamenta? Quale spettatore emerge da questo sforzo di emancipazione collettivo?
Dopo averlo intervistato in qualità di direttore artistico del T*Danse Festival, ci mettiamo sulle tracce di Quintetto e Questo lavoro sull’arancia dedicandogli una versione espansa e policentrica di questo nostro dispaccio, tra la stagione Trasparenze a Modena e il Festival 2030 a Bologna.
L'autore
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Studente di filosofia all’Università di Torino, ottiene asilo in Altre Velocità in fuga dall’horror vacui post-Erasmus. Attanagliato dal blocco dello scrittore, si prende le sue piccole rivincite scrivendo di teatro e ascoltando musica, da Mahler ai Moderat.