Nelle questioni pratiche della vita, la donna è giudicata dalle leggi degli uomini,
come se non fosse una donna, ma un uomo.
Henrik Ibsen
I rumori inquieti degli spettatori e gli schermi luminosi degli smartphone indugiano ancora, quando le onde del mare ci sollevano dalle nostre poltrone per adagiarci nel dramma nudo di Nora Helmer. È la prima nazionale di Casa di bambola di Henrik Ibsen al Teatro Manzoni di Pistoia (4 marzo 2016, produzione dell’Associazione Teatrale Pistoiese). Per l’occasione la sala è gremita e così i palchi.
Il sipario si apre sull’interno della casa di Nora Helmer, la protagonista della pièce, nel quale si svolge tutta l’azione. La scena si sviluppa in verticale, costituita prevalentemente da due strutture di legno: sulla sinistra un assemblaggio di mobilio domestico, sul fondo a destra un pannello con porta d’ingresso e alcune finestre. Quest’ultimo ricorda lo scafo di una barca e il rumore del mare, ancora in audio, ne rafforza l’impressione. Mobili vintage e contemporanei si confondono nella vastità della scena, senza però ingombrarla. Lo spazio si svela essere psichico, più che fisico, una dimensione color confetto e di ordinata auto-reclusione che rappresenta la condizione mentale della protagonista. I personaggi entrano ed escono dallo spazio, quasi al di lei piacimento. Nora è madre di tre figli e sposa devota; vive nelle frivolezze dell’agiatezza grazie alla promozione a direttore di banca del marito. Come in una nave/culla che la protegge dal mare, simbolo di libertà, Nora danza nel suo nido verniciato di bianco, sotto l’ala apparentemente sicura del marito/padrone. Ma la donna nasconde un segreto destinato a venire a galla e che la getta nelle mani di un ricattatore, un cambiamento che le impone una nuova visione della realtà e delle persone che la circondano.
La regia è protagonista di questa messinscena: Roberto Valerio inserisce i suoi “pupazzetti” dentro un modellino di casa shabby chic i cui confini non sono realmente definiti. Insieme alla mente di Nora, interpretata da Valentina Sperlì, cambia anche lo spazio intorno a lei; i colori e le luci subiscono le sue repentine prese di coscienza; l’iniziale dimensione favolistica in cui vive, trattata come un animaletto domestico con cui giocare, porta la protagonista sempre verso la superficie (sale sulla scala di legno, sul tavolo e sul divano). Man mano che il personaggio svanisce, per lasciare posto alla personalità autentica di Nora Helmer, la sua consapevolezza si rafforza, il suo dramma si compie. Allora la donna si àncora sempre di più al terreno, restando “con i piedi per terra” in tutti i sensi. La gabbia nella quale essa svolazza nella visione di Valerio è aperta, come lo è in potenza la nostra mente; ma spesso accade che siamo i primi giudici e carcerieri di noi stessi.
Thorvald Helmer è un personaggio egoista, borghese bigotto e doppio, la cui visione della moglie è totalmente deviata. A interpretarlo è Danilo Nigrelli, che dà completezza al personaggio rendendolo ricco di sfumature, dal tono della voce alla mimica del volto, restituendo una figura credibile. Di fronte alla paura di perdere dignità emerge la vera anima dell’uomo, seppellita nell’ordine eccessivo e costruito dove si trincera con la sua “allodoletta”. Con lei Thorvald esegue una tarantella forsennata che fa da preludio al finale, nella quale la donna viene manovrata come una bambola – si intuisce anche un rapporto sessuale subìto, totalmente passivo e dominato dall’uomo. Anche qui, Valentina Sperlì non si smentisce e dà prova di grande padronanza del proprio corpo e della propria maturità artistica.
Il segreto che Nora si porta dentro sembra costringerla sempre più, come Alice nel paese delle meraviglie, dentro una “casa” troppo stretta per lei, fino a esplodere. In questo gioco di realtà e immaginazione, l’azione stessa degli altri personaggi sembra essere dominata dalla coscienza di Nora. Con un sapiente gioco di luci, voci extradiegetiche e rumori, le proiezioni della sua mente invadono il palcoscenico. Riusciamo anche a percepire la proiezione di un occhio gigantesco che la perseguita: il suo subconscio? L’occhio del regista che, come una bambina, osserva da fuori gli attori all’interno della propria casa delle bambole? Oppure la presenza incombente del giudizio del marito?
I lunghi dialoghi coniugali rischiano di fare perdere fluidità all’andamento registico, ma il disturbo è lieve, grazie anche alla messa in risalto del potenziale comico della pièce. Gli interventi degli altri personaggi contribuiscono al buon risultato della messinscena: il dottor Rank, un Massimo Grigò completamente a suo agio nel personaggio, la Signora Linde (Carlotta Viscovo) e, infine, il cupo e oscuro Krogstad impersonato dallo stesso regista.
Valerio ci lascia con il dubbio: Nora avrà veramente varcato quella porta? Come la trottola nel film Inception di Christopher Nolan (2010) continua a girare, così Nora nella semioscurità della scena torna sul suo divano, nella sua casa e indossa nuovamente la sua parrucca.
di Giulia Bravi
foto di Marco Caselli Nirmal
L'autore
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Redazione intermittente sulle arti sceniche contemporanee.