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(foto da commons.wikimedia.org)
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Colpi di scena, seguendo il filo della fiaba tra ispirazione e innovazione

di Nella Califano

A che punto siamo, adesso?


È la domanda che cercano di porsi tutti i festival che abbiano a cuore la salute del teatro, in questo caso del teatro per le nuove generazioni. Colpi di scena, la Biennale di Teatro per Ragazzi e Giovani organizzata da Accademia Perduta/Romagna Teatri e Ater Fondazione, quest’anno alla sua tredicesima edizione, è sempre stato un appuntamento importante per provare a rispondere a questa domanda fatidica e necessaria. Quattro giornate di visioni, scambi e riflessioni tra Forlì e Faenza; una panoramica sulle differenti poetiche e linguaggi teatrali a livello nazionale e internazionale, passando dal teatro d’attore al teatro di figura e di ombre, dal circo alla danza; la scelta di temi legati alla contemporaneità e alle sfide che i più piccoli affrontano nel loro percorso di crescita; la presenza non solo di compagnie ormai note e affermate, ma anche di giovani artisti e artiste a cui Claudio Casadio e Ruggero Sintoni hanno offerto la possibilità di sperimentarsi.


Molte le questioni emerse e le riflessioni raccolte. Tra queste salta sicuramente all’occhio il desiderio di realizzare spettacoli in cui mettersi alla prova con scritture drammaturgiche originali. Le fiabe tradizionali diventano da una parte territori fertili in cui far fiorire narrazioni in grado di svilupparsi a partire da nuove suggestioni e dall’altra un modello a cui tendere per realizzare storie nuove che tentino di rispondere alla domande che pone il presente.

In questa direzione si muovono molti degli spettacoli in programma. Tra questi il lavoro de La Baracca – Testoni Ragazzi, che propone in prima nazionale uno spettacolo realizzato insieme agli attori e alle attrici della compagnia Arte e Salute Ragazzi, per la regia di Daniela Micioni. Lo spettacolo Hansel e Gretel, fratelli unici spicca per la semplicità e la delicatezza, nonché per l’interesse del tema, che si sviluppa a partire dalla celebre fiaba per poi trovare una strada autonoma. Daniela Micioni, insieme e Margherita Molinazzi ed Enrico Montalbano si interroga su una questione con cui tutti i bambini e le bambine a un certo punto si trovano a fare i conti: la presenza o la mancanza di un fratello o di una sorella. Che cosa vuol dire essere fratello e sorella? Che cosa si prova invece a essere figlio unico? Come si vivono i conflitti? Quanto abbiamo bisogno dell’affetto delle persone che amiamo, anche se a volte la vita può creare delle distanze? A queste domande gli attori e le attrici hanno risposto partendo dalle proprie esperienze personali arricchendo la fiaba, già densa di significati, di nuovi stimoli. La scenografia è essenziale ed è caratterizzata dalla presenza di cornici che nel corso dello spettacolo gli attori prendono tra le mani all’altezza del viso, come a creare un ritratto, un ritratto di famiglia. Ma che tipo di famiglia? Che cosa c’è dietro alle vicende di questa fiaba che parla di abbandono, ma anche di liberazione da un’oppressione, possibile solo attraverso un gioco di squadra tra un fratello e una sorella?

(foto di Matteo Chiura)

La fiaba, si sa, è un grande contenitore di archetipi che ci permettono di codificarla e di sentirla vicina alle nostre esperienze grazie alla sua universalità. Questo spettacolo sembra nascere invece dal tentativo di leggere la fiaba procedendo dal particolare all’universale, raccontando ciò che normalmente viene taciuto. Si ha l’impressione di osservare da vicino i due protagonisti: guardando dal buco della serratura entriamo nella loro stanza dei giochi, li vediamo litigare e ridere insieme, percepiamo delle tensioni, forse causate o alimentate dalla miseria in cui vivono, dove non c’è spazio per l’affetto. In realtà non è corretto parlare di due protagonisti perché sono tre diversi attori a interpretare Hansel mentre Gretel è unica. Un espediente che permette di moltiplicare lo sguardo sul loro rapporto. Hansel e Gretel non sono più solo un fratello e una sorella che vengono abbandonati nel bosco, ma sono un bambino e una bambina con un proprio carattere che vivono le difficoltà che pone una relazione a due in un contesto familiare difficile. Poi la storia riprende il suo corso, puntellata dalle domande che gli attori si pongono, sospendendo per un momento la storia, e da racconti personali e ricordi di famiglia. La storia di Hansel e Gretel diventa dunque la storia di un conflitto familiare, che forse si scioglie solo quando, di fronte al pericolo, i due protagonisti capiscono di aver bisogno l’uno dell’altra e si alleano per sfuggire alla malvagità della strega, alla sua voracità, che tanto assomiglia a quella della loro matrigna. Questo ritrovato affiatamento, nato dalla possibilità di potersi realmente perdere per sempre, permette loro non solo di sconfiggere colei che li teneva prigionieri, ma di riscattarsi e di ritornare a casa con il tesoro della strega. Il ritratto di famiglia si ricompone, stavolta più nitido e saldo grazie alla forza di una relazione che ora riesce a esprimersi nella sua pienezza. Il messaggio aperto e variegato dello spettacolo forse ci racconta anche dell’importanza che le esperienze vissute insieme hanno nella gestione degli affetti, nella capacità di comprendere l’altro e, qualche volta, perdonare.

Restando nella suggestione dello spettacolo de La Baracca, incontriamo di nuovo Gretel nell’omonimo spettacolo della performer Clara Storti, prodotto da Quattrox4 Circo ETS. Stavolta Gretel non è accompagnata da suo fratello, è sola, ma sempre impegnata in una storia di resilienza. Gretel è una fiaba moderna, costruita attraverso abilità acrobatiche e circensi e realizzata grazie alla poesia e alla carica simbolica contenuta negli oggetti manipolati ad arte. Una storia semplice, dal messaggio immediato e profondo, che ha la capacità di accompagnarci con delicatezza nel fragile mondo della protagonista. Un quadrato definisce la piccola casa di Gretel, da lei tanto amata, che contiene tutto ciò di cui ha bisogno. Gretel se ne prende cura con premura. Quella casina rappresenta forse anche se stessa, il suo mondo interiore. A noi sembrano bizzarri i suoi rituali, per esempio il modo incredibilmente complesso, ma spassosissimo, in cui si versa da bere o bagna la sua piantina, compiendo movimenti che la portano a contorcersi fino a perdere l’equilibrio, ma rispondono chiaramente a una sua logica, un suo modo di vedere il mondo. La sua è una danza, gioca con il corpo e con gli oggetti che la circondano, alternando disattenzione e concentrazione estrema. Gretel vive con Fritz e Oscar: quelli che agli occhi di noi spettatori e spettatrici appaiono all’inizio come semplici oggetti sono per lei inseparabili compagni di viaggio, ai quali si rivolge costantemente utilizzando brevissime frasi in lingue diverse, come a sottolineare l’universalità della sua esperienza.

Quando ormai abbiamo preso confidenza con quello spazio strampalato eppure accogliente e rassicurante costruito dalla protagonista, tanto da sperare al suo richiamo “tea timeee!” di essere invitati anche noi, ecco che accade qualcosa di sconvolgente. Un elemento esterno rompe traumaticamente l’incanto e in pochi minuti la deliziosa casetta non esiste più. Gretel osserva desolata ciò che resta del suo mondo, raccoglie quello che ha di più caro e cerca di ricostruire (di ricostruirsi?) altrove. Ci prova arrampicandosi abilmente su una corda che pende dall’alto e tra spettacolari numeri di corda aerea cerca di stabilirsi in cima insieme a Fritz e Oscar, ma ogni tentativo di ricomporre il suo spazio risulta vano, nonostante i continui e fiduciosi tentativi.

(foto di Alessandro Villa)

Gretel ha perso la sua casa, il suo mondo, ma resiste, non si dà per vinta e la sua tenacia la premierà. A noi resta la dolcezza e la tenerezza di questo personaggio femminile fuori dal tempo. Gretel sembra troppo grande per essere una bambina e troppo piccola per essere un’adulta, ma forse proprio questa sua ambiguità le permette di rappresentare ognuno di noi. In fondo chi non ha attraversato uno sconvolgimento o non ha avuto un ostacolo da superare, grande o piccolo che fosse? Gretel ci dimostra che anche nelle difficoltà si può scegliere di agire con leggerezza e voglia di reinventarsi, adagiando un sassolino dietro l’altro per non smarrirsi nel bosco della vita.

È sempre una storia di famiglia quella della nuova produzione di Accademia Perduta/Romagna Teatri Bella, bellissima!, uno spettacolo di teatro di figura e di immagini per la regia di Nadia Milani e la drammaturgia di Beatrice Baruffini, andato in scena in prima nazionale. Si tratta in questo caso di una famiglia in cui non manca l’amore e dove le difficoltà arrivano nel momento in cui il mondo esterno mette in discussione i valori della protagonista. Tre simpatiche streghe danno vita a una terza compagna di incantesimi e magie dopo aver mescolato i più svariati ingredienti perché da quell’intruglio possa nascere una splendida strega. E infatti dal calderone ne sbuca un esemplare perfetto. Lei è proprio come ce la immaginiamo: spettinata, con una voce gracchiante e una risata acuta e l’inconfondibile naso che risalta sul viso tondo. Si, è proprio come dovrebbe essere una strega. Strega cresce in fretta, impara velocemente tutto quello che c’è da sapere e anche a stare in equilibrio sulla sua scopa, tanto che molto presto cominciano i suoi voli notturni tra le stelle e proprio durante uno di questi incontra Orco, che chiede di incontrarla al chiaro di luna, a mezzanotte, in occasione del suo compleanno. La protagonista aspetta con gioia questo momento e nel giorno stabilito si mette in cammino per raggiungere il luogo dell’appuntamento. Strega non si preoccupa mai del suo aspetto, neppure quando si avvicina il momento di rivedere Orco.

Sono gli incontri che farà nel bosco a metterla in crisi e a farle pensare che forse, così com’è, non è abbastanza attraente. Forse con un po’ di magia quei capelli arruffati potrebbero essere rimessi a posto, quel vestito troppo scuro modificato perché diventi più luminoso e quel naso forse potrebbe avere un aspetto più delicato. Assistiamo a poco a poco alla trasformazione di Strega, che arrivata a destinazione è talmente diversa dal solito da non essere più la stessa. Chi è quella figurina ben vestita, dai capelli lunghi e lucidi e dalla voce dolce? Orco (che con grande meraviglia vediamo comparire come per magia da una roccia nella quale è letteralmente incastonato, grazie a un bellissimo effetto scenografico), proprio non la riconosce, nonostante i tentativi di Strega di convincerlo che si tratti proprio di lei. è sempre più agitato, non capisce né chi sia quella donna, né perché la sua bellissima Strega non si sia presentata all’appuntamento. E in effetti anche per noi sarebbe stato difficile riconoscere la protagonista di questa storia se non l’avessimo accompagnata fino al luogo dell’appuntamento nella sua camminata notturna attraverso il bosco, durante la quale gli animali che incontra la convincono a mutare il suo aspetto servendosi della magia per risultare più bella. Ma più bella per chi? La risposta a questa domanda arriva subito. Strega per Orco è bellissima, lo è anche per le sue sorelle streghe e lo è anche per noi spettatori e spettatrici, perché è esattamente come dovrebbe essere una strega. Nel momento in cui cambia i suoi connotati diventa una persona come le altre e non a caso perde anche i suoi poteri. Senza rendersene davvero conto sta rinunciando alla sua stessa identità, non riesce più a comportarsi come prima perché di fatto non è più la stessa.

Attraverso una drammaturgia fresca e divertente e grazie alle potenzialità del teatro di figura, supportato dalla bellezza delle scene, dei costumi e dei pupazzi, assistiamo a uno spettacolo che interroga una questione scottante dei nostri tempi: l’eccessiva importanza che viene attribuita all’aspetto esteriore e la rigidità verso certi canoni di bellezza che vanno assolutamente rispettati, pena l’esclusione e il giudizio. La morale è semplice e necessaria: rispettare se stessi e gli altri, osservare i propri valori per vivere autenticamente. Ci sarà un altro appuntamento tra Strega e Orco, con tanto di cena a lume di candela, ma stavolta la nostra protagonista non si farà condizionare dai giudizi degli altri, ha capito a sue spese che cosa può accadere quando si cammina su sentieri che sono stati gli altri a scegliere per noi. Chissà come avranno passato la serata Strega e Orco, che cosa si saranno raccontati, se avranno riso del loro primo mancato incontro. A noi spettatori e spettatrici non è dato saperlo, lo spettacolo si interrompe sul più bello. Ma forse quella è un’altra storia e non ci riguarda.

(dal sito di Teatro Nuovo Giovanni da Udine)

Tre spettacoli, dunque, che utilizzano tre diversi linguaggi per raccontarci delle storie dai contenuti importanti, che interrogano giovani e giovanissimi su tematiche attuali seguendo la struttura narrativa della fiaba. Da una parte utilizzando la fiaba tradizionale per aggiungere nuovi significati e dall’altra creandone di nuove, non limitandosi a mettere in scena un testo esistente, ma lavorando in maniera originale sulla drammaturgia, che riesce a utilizzare magnificamente anche gli oggetti caricandoli di significati. La varietà di linguaggi degli spettacoli presenti nella programmazione del festival Colpi di Scena diventa importante per ricordare quanto grandi siano le potenzialità del teatro e quindi quanto sia necessario continuare a sperimentare per fornire a giovani e giovanissimi spettatori e spettatrici sempre nuovi strumenti di lettura.

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