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Città e alveari. Due sguardi attorno al lavoro Metis di MICCE

di Petra Cosentino Spadoni, Damiano Pellegrino

I

L’esplorazione coreografica e sonora di Francesca Penzo e Mariagiula Serantoni all’interno degli spazi del Dumbo ha concluso la seconda giornata del Festival Danza Urbana, giunto alla sua ventisettesima edizione, con tantissimi appuntamenti previsti a partire dal 5 settembre 2023 negli spazi urbani di Bologna, interessando le aree del centro storico quanto zone più decentrate. Il quartiere che si estende attorno agli spazi dell’ex scalo ferroviario di Bologna diventa il centro di una riflessione sull’abitabilità delle città: la performance viene accompagnata dalle testimonianze di donne e persone non binarie che quotidianamente attraversano queste strade. Metis si fa spazio delicatamente: il titolo, dal greco “consiglio, astuzia”, fa riferimento alla possibilità di percepire lo sguardo dell’altra.

Un ronzio riporta inizialmente alla dimensione di un alveare: le danzatrici indossano delle tute e delle visiere protettive, e attraverso brevi movimenti esplorano l’ambiente che le circonda come a scorrerne il perimetro e i relativi limiti, mentre le sonorità si alternano alle voci del quartiere. Il ritmo iniziale si interrompe quando Penzo e Serantoni si avvicinano al pubblico in un momento di esitazione che prende infine la forma di chi lo attraversa: il pubblico diventa luogo in ascolto, trasformandosi e lasciandosi abitare. Dall’incontro salta la contrazione iniziale nell’amplificarsi dei gesti e delle sonorità insieme: i corpi fluiscono e si muovono liberamente nello spazio, ridisegnandone la geografia attraverso nuovi sguardi. La coreografia si espande insieme alla percezione di uno spazio in grado di rendersi accogliente e permeabile rispetto ai corpi che lo attraversano. Nella possibilità di immaginare un altro abitare, il ritorno alla dimensione iniziale porta ad un nuovo ascolto del quartiere: i volti delle danzatrici si scoprono insieme al riaffiorare delle voci che immaginano il proprio quartiere ideale, più verde, più illuminato, liberamente e sicuramente vissuto, un luogo «più a misura di persona, di tutte le persone». Un pannello, infine, porta affisso un cartellone con una mappa: Metis, lo spazio dei corpi, è il quartiere che ascolta e si modella sulle necessità di chi lo attraversa e di chi lo abita; qui il pubblico stesso viene a sua volta chiamato a interrogarsi sul proprio abitare, sulla paura di attraversare la città, sulle proprie necessità. Metis si rivela così un quartiere verde, sicuro, gentile, aperto – a partire da qui, come da ogni altro luogo. Petra Cosentino Spadoni

II

Raccolti fianco a fianco quasi a formare una lunga lettera L, assistiamo alla coreografia Metis di Francesca Penzo e Mariagiulia Serantoni, un progetto dell’associazione MICCE, da un punto ristretto del piano superiore dell’Officina FIU all’interno dei locali di Dumbo a Bologna. In piedi, in una zona in cui le pareti formano un angolo retto, siamo all’incirca una cinquantina e ogni spettatore deve trovarsi e rinegoziare costantemente un punto di osservazione. Lo spazio, seppur limitato, intasato e otturato dai nostri corpi, sguardi, zaini e borse, respira e non è soffocante. E nel corso del lavoro le due performer si fanno spazio tra noi con i loro movimenti, provano ad abitare quella superficie ristretta e ci passano accanto, anche osservandoci, fino a ricavare e guadagnare in due momenti differenti dello spettacolo ben due zone in cui dare respiro alla coreografia. Lo spazio rimpicciolito, allora, si allarga e rifiata, forse grazie anche alla presenza di tantissime piante da interno che costellano le pareti e si inclinano, tendono verso la scena.

Penzo e Serantoni portano addosso due indumenti da lavoro, assimilabili a delle tute da apicoltore con visiera: uniformi neutre che si lasciano inscrivere dalle registrazioni di testimonianze di donne e persone non binarie, raccolte nell’area urbana Scalo-Malvasia a Bologna, una zona designata dalle voci stesse come Quadrilatero. La coreografia ha il merito di mettersi in ascolto di domande e riflessioni, che hanno a che fare con la vita di tutti i giorni e che emergono da un’esperienza viva delle nostre città, da sempre progettate per un utente modello a discapito di altri soggetti. E mette al centro – come ci indica una delle voci registrate – una prospettiva geografica femminista, in grado di guardare con gli occhi delle donne e trovare alternative sul campo per abbattere disuguaglianze, violenza di genere, paure quotidiane, traumi, esclusioni, molestie e limitazioni. Come sottolinea Leslie Kern in La città femminista, per cercare nuove possibilità e ripensare a un diritto alla città, occorre cominciare dal corpo, designato dall’autrice come una materia, a cui porre delle domande non universali ma concrete che emergono dall’esperienza vissuta e quotidiana delle nostre città. Alcune di queste domande, poste a una parte del pubblico chiamato a rispondere su dei piccoli post-it colorati, compaiono alla fine del lavoro su un cartellone fissato su un pannello. Una mappa della città del futuro come collage vivente, fatto di immagini, parole, proteste ed emozioni e in cui tutti i corpi sono accolti e ospitati allo stesso modo. Damiano Pellegrino

foto di Stefano Scheda

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