Questo articolo è frutto della Scuola estiva di giornalismo culturale in Romagna, organizzato da Altre Velocità, che attraversa il Festival di Santarcangelo 2024.
Mettersi in ascolto
Il secondo giorno di Ipercorpo ci porta a soffermarci sull’esperienza uditiva. «Questo spettacolo è da ascoltare, non da guardare», esordisce la voce introduttiva di Audiario, opera realizzata da Elisa Gandini e Davide Fabbri che racconta, attraverso un montaggio di registrazioni audio, la giornata del 26 aprile 2019. Si tratta solo di un giorno qualsiasi vissuto da persone di tutte le età, che hanno inviato i loro contributi da vari luoghi e in situazioni diverse, mentre erano a passeggio o in coda in autostrada, ascoltando un concerto o leggendo una favola al proprio bambino. La voce introduttiva non lo dice esplicitamente, ma è chiaro dopo pochi minuti che la scelta migliore è chiudere gli occhi per poter davvero immergersi all’interno di quelle vite, scandite dal rumore di chiavi che aprono un portone e marciapiedi calpestati da un paio di piedi che accelerano l’andatura.
Da Audiario si passa alla performance musicale La màquina parlante di Matteo Scaioli, che attraverso due grammofoni a manovella risalenti ai primi del ‘900, ha creato un’atmosfera anni ‘50 dai ritmi prevalentemente jazz e swing in sequenza mixata. Il concerto inizia con gli spettatori seduti ai propri posti, che muovono i piedi a destra e sinistra, mentre si guardano intorno intimoriti ma segretamente desiderosi di alzarsi in piedi e iniziare a ballare. Ed ecco che finalmente si alza il primo, poi il secondo e infine tutti quanti, in un’esplosione di movimento di fianchi e dita che schioccano, generando un’ambientazione sospesa nel tempo, in cui la leggerezza della musica anni ‘50 fa da padrona. La seconda giornata del festival si conclude quindi con le orecchie piene di suoni diversi e una riflessione da portare a casa sull’esperienza di mettersi completamente all’ascolto, lasciando da parte gli altri sensi.
Alessandra Sabbatini
Distanza
«Se un dipinto potesse guardare, ci morderebbe gli occhi». È questo il motivo per cui bisogna tenere la giusta distanza dalle opere di Matteo Fato, ospitate nello spazio dell’Exatr durante la seconda giornata di Ipercorpo. Così come i suoi dipinti, in agguato, cercano di trovare la giusta distanza nello spazio in cui vengono liberati, anche noi spettatrici cerchiamo di abitare questo spazio così complesso e di trovare la nostra dimensione. Uno spazio pulito nasconderebbe l’opera, mentre questo luogo decadente e pieno di storia le permette di avere una nuova vita e riscoprirsi, proprio come permette a noi di perderci e ritrovarci. Con calma, al nostro ritmo. Esattamente come il ciclo Circadiano di Paolo Pollo Rodighiero, che regala una visione sempre nuova e potente e ci fa sentire addosso lo scandire del tempo, col suo occupare tutto lo spazio a disposizione. E ci invita a occupare tutto lo spazio a disposizione anche l’installazione Amacario, che ci avvolge e ci culla, rendendoci impossibile starle lontano. Sembra naturale, invece, mantenere una distanza reverenziale dai due grammofoni a manovella di inizio ‘900 di Matteo Scaioli, che ci fanno piombare direttamente nell’atmosfera della prima metà del secolo scorso. Intorno ai suoi magici strumenti si crea un naturale spazio vuoto, che può essere solo riempito da piedi danzanti, così come in Exatr sembra crearsi un vuoto nel tempo, che può essere riempito solo dalla vita propria di questo posto incantato.
Caterina Langella
Ecosistema
L’arena di Ipercorpo è in movimento e procede organica nel suo divenire. Con un fare animalesco – per così dire mimetico – mescola gli spazi, orbita e si modella dandosi ogni volta nuove forme e nuovi nomi. Le pareti che prima erano disabitate, taciturne e nascoste, ora si svelano timidamente, vestite di luci e di ombre inedite, abitate da una vegetazione insolita. È una questione di punti di vista, di attenzione ai particolari, di vicinanza e poi distanza, ma è una questione anche di coraggio. Coraggio nel sapersi reinventare, nello sciogliere i propri confini, nel permettersi di rattrappirsi e poi di dilatarsi. Negli angoli segreti dell’Exatr, come fossero bacche selvatiche nascono spontanee le voci dell’Audiario di Elisa Giandini e Davide Fabbri; in zone più soleggiate invece si riposano mansuete le tigri dipinte da Matteo Fato. I grammofoni di Matteo Scaioli, pazienti, aspettano il chiaro di luna per intonare il loro canto. Questo ecosistema, fatto d’erba e di cemento, continua per natura a rigenerarsi, a reinventarsi.
Margherita Alpini
In bilico
«Uno spazio pulito nasconde il mio lavoro. Preferisco esporre i quadri in luoghi un po’ in disordine, così da essere ospitato dalla storia di qualcun altro». Questo dice il pittore Matteo Fato, presentando la sua esposizione al festival Ipercorpo. Mentre invece poco dopo, nella stanza adiacente, ascoltiamo una moltitudine di persone che racconta frammenti di vita dall’Italia e dal mondo. Attraverso musica, rumori e parole, Audiario di Elisa Gandini e Davide Fabbri ci regala scorci dalla vita di tutti i giorni che, ascoltando, possiamo accogliere e fare nostri. Dopo la presenza corporea e la vista di ieri, le opere del secondo giorno di Ipercorpo si sono concentrate sul suono, tra presente e passato, in bilico tra lo spazio e il tempo che si fondono diventando quasi simultanei.
Tommaso Daffra
Viaggiare senza spostarsi
Gironzolare assorta dalle luci e dai colori del festival Ipercorpo mi ha riportato alla mente quando da piccola andavo al luna park ed ero estasiata dalla grandezza delle attrazioni, quasi intimorita. La stessa sensazione l’ho avuta davanti all’installazione Amacario di Francesco Careri. Bianchi lenzuoli giganteschi, appesi a una struttura di ferro come delle vere e proprie amache, tutte intrecciate e sovrapposte. La me bambina ha sussultato alla vista di quella possibile avventura. Ho immaginato tutti i giochi che avrei potuto inventarmi in quello scenario: i pirati che saltano da una cima all’altra, la principessa che prova a scappare da una foresta di alberi magici che tentano di avvolgerla nelle loro radici… In un attimo mi sono ritrovata sopra uno di quei lenzuoli, il più alto di tutti. Mi è parso evidente che mi fossi arrampicata per raggiungerlo, ma mi sono trovata lì: sospesa tra la me adulta e la me bambina.
Da Amacario sono poi finita in Audiario di Elisa Gandini e Davide Fabbri, un riassunto sonoro di tutti quei momenti della giornata in cui ciò che sentiremmo, se solo ci fermassimo ad ascoltare, sarebbe il mondo intorno a noi: i suoi oggetti, i suoi ritmi e le sue abitudini. Ho viaggiato per 45 minuti attraverso i piccoli momenti trascurabili della vita di tante persone in ogni ora della loro giornata. Ho sentito chiavi aprire porte, scarpe battere sul selciato, risate risuonare in una stanza, musica per le strade. Ho ascoltato e dato un volto e un nome a tutto ciò che ho sentito. La dimostrazione più grande che pur stando immobili, è ancora possibile e meraviglioso viaggiare con la propria mente nel tempo e nello spazio.
Elena Tassinari
L'autore
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Redazione intermittente sulle arti sceniche contemporanee.