Dicembre 1992. Al suono della campanella dell’intervallo, nel corridoio del Liceo Classico Dante Alighieri di Ravenna, si riversa un festoso e dilagante vociare di adolescenti. C’è una ragazza che con sguardo appuntito e un fascino discreto e persistente cerca veloce lui. Lei è una Chiara Lagani diciasettenne, lui Luigi De Angelis. Lei gli era grata per aver assistito a delle prove teatrali in un’aula di quel Liceo. Quelle ore le avevano spalancato visioni, si era autenticamente abbandonata fino a trasformare quei brividi in un testo grazie alla sua penna agile. In segno di riconoscenza Chiara regala a Luigi un dialogo a due voci dal titolo “Hevel”, termine ebraico dal significato plurimo che indica fratello ma anche soffio. Luigi, dopo averlo letto, torna da Chiara e le propone: «Perché non lo mettiamo in scena?». Nasce così, Fanny&Alexander compagnia che ha saputo affrontare epifanie, deliri, ossessioni, nenie, disvelamenti e apparizioni in alcuni temi centrali delle loro creazioni: la morte, la dualità, l’adolescenza, l’amore. Il tutto declinato in antieconomiche e faticosissime saghe «per tentare di placare una sete inesauribile» che hanno compreso fino a 10 opere autonome capaci di ruotare tutt’intorno allo stesso fuoco creativo.
Stasera 21 dicembre alle Arteficerie Almagià, lo spazio che la compagnia gestisce nei pressi della Darsena di Ravenna, si concludono i “festeggiamenti lunghi un anno” con un momento di ballo e musica che accoglierà a partire dalle ore 20:30 amici, spettatori, giornalisti, artisti che con la compagnia hanno spartito un pezzo di vita. Pochi giorni fa Marco Cavalcoli, attore della compagnia, ricorda a Luigi una domanda che gli fece: «Perché fai teatro?» e Luigi gli rispose: «Perché è un po’ come avere i capelli» tant’è naturale, necessario. Sia Chiara che Luigi mi raccontano di una passione ardente che non ha mai vacillato, nemmeno sotto i colpi di una difficoltà economica e di una precarietà dilagante. È un autentico impeto il loro, mosso da sfrontatezza adolescenziale che in vent’anni non ha perso mordente, parlano di un cuore che ha radici profonde, di un’ostinazione indomita che sa coltivare i sogni più arditi. Di questo anche noi, con loro, abbiamo davvero bisogno. «Quello che ci ferisce oggi è faticare ad emergere in Italia, proprio quando l’Europa ci riconosce» confida De Angelis «se fossimo vissuti all’estero sarebbe stato diverso, soprattutto per una modalità di far ricerca indipendente come la nostra che rifugge qualsiasi formula che ammicchi al mercato». Per Lagani «la morte dell’ETI è stato sicuramente un momento decisivo per l’involuzione a cui stiamo assistendo. Un evento simbolo del decadimento irreversibile del sistema teatro».
La serata è stata curata da Marco Molduzzi, organizzatore storico della compagnia, che ha chiamato a raccolta artisti riconosciuti a livello internazionale: in primo luogo il progetto “Dawn Hunger” di Andrew Hung (membro dei Fuck Buttons, Uk) che si esibirà in qualità di dj per la prima volta in Italia dopo svariati sold-out a Londra. A questi si aggiungono numerosi artisti e musicisti che nel corso degli ultimi anni hanno incrociato il loro percorso artistico con quello della compagnia: come Zapruder Filmmakersgroup, Mirto Baliani e altri musicisti come Sybiann, Godblesscomputers, Pit e Kibu. Ingresso 10 EURO. (Agnese Doria)
Questa storia inizia nel 1992 a Ravenna, in un corridoio del Liceo Classico Dante Alighieri. Durante l’intervallo un ragazzo si espone nell’atrio, con un filamento che gli costringe il torso nudo. C’è una ragazza che esegue alcune azioni: muove gli arti del compagno come se fosse una marionetta, lo copre con un drappo rosso, usa il suo corpo per nascondersi alla vista. Inizia così il teatro di Luigi de Angelis e Chiara Lagani, quindici minuti performativi di fronte a una selva di ragazzini incuriositi e spaesati. Non c’è scenografia, il pubblico ha di fronte il qui ed ora di figure che “stanno” senza parlare, quasi senza muoversi. Questo “teatro da corridoio” chiede di essere osservato come un’icona, invita a uno sguardo nomade, in cui è lo spettatore a doversi muovere, a scegliere una prospettiva. È l’infanzia del teatro di Fanny & Alexander, che ricorda da vicino l’infanzia del teatro stesso.
Questa storia prosegue in Romagna durante gli anni ’90, quando al gruppo si aggiungeranno Marco Cavalcoli, attore, e una squadra organizzativa (Sergio Carioli e Marco Molduzzi, solo per citare due nomi storici di un gruppo in cui organizzare è sempre anche creare). La storiografia di settore avrebbe descritto le compagnie nate in quel periodo come “Teatri Novanta”: Fanny, Teatrino Clandestino, Motus, Kinkaleri, Masque e altre formazioni accomunate dall’urgenza di riportare al presente il linguaggio del teatro. Idiomi personali che si nutrono di molteplici influenze, spesso non teatrali, e che sono diventati le esperienze di punta della scena italiana, conosciute in tutta Europa e non solo. Nel conservatorismo culturale italiano siamo abituati a parlare di un teatro “di ricerca” o “contemporaneo”, etichette che spesso chiudono le porte di possibili condivisioni. Eppure sarebbe così semplice da descrivere, questa scena, perché è l’unica che racconta e mette in discussione il tempo presente.
Questa storia ha costruito visioni che si sono fatte proposizioni sul reale, consegnate all’immaginario dei tantissimi spettatori che ha incrociato. Si narra dell’assenza di un principio ordinatore, di una visione prospettica che rimetta a posto le cose per mandarci a casa rassicurati: gli spettacoli di Fanny & Alexander si guardano dall’alto di un teatrino anatomico (Ponti in core, ’96), hanno come sfondo una grande parete rossa al cimitero monumentale (Requiem, ’01), si dipanano in uno spazio vuoto occupato da un tavolo sonoro (T.E.L., 2011). In questi e altri casi, si comprende che ciò che si guarda non coincide con ciò che si vede, perché l’opera accade, forse in egual misura, sulla scena e nella mente dei presenti. In questa storia ventennale si racconta di un programmatico rifiuto del principio di opposizione duale che sostanzia le dinamiche del potere, della storia, della società. Non a caso il nome del gruppo contiene il legante di una “&”, segno grafico che dà forza alla convivenza delle dissonanze, anche nei percorsi drammaturgici: la Storia infelice dei due amanti Romeo e Giulietta (1999), la costellazione di suoni, voci, giochi attorno a Van e Ada (Ada, cronaca familiare 2003-2006), le figure che discettano di arte e mondo contemporaneo in Amore (2 atti), del 2007, in cerca di un codice che permetta di incontrare l’altro. Sembra dunque naturale che, insieme alla &, sia nata quest’anno anche la E, nome della cooperativa fondata dai Fanny con gruppo nanou, Menoventi, ErosAntEros.
Sarebbero tante altre le storie da raccontare in questi vent’anni, come quella che ci sprona ad andare oltre l’arcobaleno per sostenere una realtà immaginale che troppo spesso avvertiamo distante dalle incombenze quotidiane. È accaduto durante tutto il viaggio di Dorothy intorno a O-Z (2007-2010), osservando l’imperatore che ha smarrito il linguaggio per dialogare con la sua comunità (Heliogabalus, 2006), e al cospetto di un attore attraversato da parole e voci degli attuali leader politici, in quella “zona grigia” fra potere e cittadinanza (Discorso Grigio, 2012, prima tappa di un progetto pluriennale sulla retorica dei discorsi pubblici).
Ma la storia di Fanny & Alexander si è dispiegata anche in installazioni, laboratori, incontri pubblici, progetti editoriali, audiovisivi e radiofonici, che hanno gradualmente costruito quella bottega d’arte che è riuscita a mantenersi aperta, per disporsi all’incontro. Un arcipelago di azioni che parte dall’Ardis Hall, nelle Bassette, base operativa che ciclicamente si apre per accogliere artisti in residenza e prove aperte, e che si sparge in molti altri spazi cittadini abitati per la durata di un incontro pubblico o attraverso percorsi di più lunga durata, come sta accadendo da qualche tempo all’Almagià, con serate musicali e teatrali, feste, dj set, festival sulla darsena. Qui, il 21 dicembre, Fanny & Alexander ci invita a festeggiare i primi vent’anni del gruppo con tanti live musicali (su tutti Andrew Hung dei Fuck Buttons). Con il desiderio, da parte nostra, di attraversare con loro i prossimi venti. (Lorenzo Donati)
Gli autori
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Classe 78, veneta di nascita e bolognese d’adozione, si laurea in lettere e filosofia al Dams Teatro e per alcuni anni insegna nelle scuole d'infanzia di Bologna e provincia e lavora a Milano nella redazione di Ubulibri diretta da Franco Quadri. Dal 2007 è giornalista iscritta all’ordine dell’Emilia-Romagna. Ha collaborato con La Repubblica Bologna e l’Unità Emilia-Romagna scrivendo di teatro e con radio Città del Capo.
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Tra i fondatori di Altre Velocità, è assegnista di ricerca presso il Dipartimento delle Arti all'Università di Bologna, dove insegna Discipline dello spettacolo nell'intreccio fra arte e cura (Corso di Educazione professionale) e Nuove progettualità nella promozione e formazione dello spettacolo al Master in Imprenditoria dello spettacolo. Immagina e conduce percorsi di educazione allo sguardo e laboratori di giornalismo critico presso scuole secondarie, università e teatri. Progettista culturale, è tra i fondatori di Altre Velocità e dal 2020 co-dirige «La Falena», rivista del Teatro Metastasio di Prato. Fa parte del Comitato scientifico dei Premi Ubu. Usa solo Linux.