Se l’occhio del teatro si spalanca sulla natura e diventa lente scientifica prestata all’arte, sguardo che affonda nel tentativo di afferrare la meraviglia dei fenomeni, possono verificarsi sulla scena autentiche manifestazioni, come avviene in Bestiale Improvviso, ultimo lavoro di Santasangre. Non a caso il precedente progetto del collettivo romano, da cui tre spettacoli dal 2005 al 2008, era stato Studi per un teatro apocalittico. Lì si recuperava in senso laico e contemporaneo l’accezione del termine: “apocalisse” come metamorfosi, concetto in cui distruzione e nascita trovano principio comune, trovando punti di contatto con la letteratura distopica di Huxley e Orwell e approdando nell’ultima tappa, con Seigradi, alla costruzione sintetica di un «organismo sonoro e visivo auto-produttivo».
Attivando un processo di trasposizione dalle nozioni della scienza alla grammatica scenica, Santasangre usa lo spazio del teatro come laboratorio in cui ricreare la più potente forma di reazione esistente in natura, l’energia nucleare. La scena è immersa nell’oscurità, riempita di un denso fumo che penetra anche in sala a rendere visibile l’invisibile, aria che riempie lo spazio, sostanza misteriosa da plasmare, fendere e far reagire. Tutti gli elementi del teatro trovano qui, insieme, il loro compimento. Lavorando allo stesso livello, lo spazio e il corpo umano, unitamente al suono e alla luce (manipolati dal vivo, nel vivo del loro essere corpo della scena) si prestano alla «drammaturgia della materia», costruzione dell’azione dentro l’azione, modellamento della sostanza-teatro che emerge per gradi di presenza e compresenza. Un raggio di luce tenta di fendere il buio, scoprire gli spazi, stabilire i confini. Il suono ne segue il disegno. Tre figure indistinte, ombre, macchie d’inchiostro, si dilatano e si riassorbono dietro uno schermo opaco in un crescendo di distorsioni sonore e luminose che non produce esplosioni, ma mira alla «saturazione dell’ambiente», creando un ordigno di grande potere immersivo. Deposto lo schermo, tre corpi emergono dall’ombra, e allora si assiste a qualcosa che può ricordare uno sbarco alieno oppure il lavorio di una complessa macchina industriale. Figure dal volto coperto, camaleontiche sotto le proiezioni: geroglifici che danzando diventano ingranaggi di un congegno indecifrabile. La figura umana perde connotati, sta tra l’organico e l’inorganico, si spezza e si fonde l’anatomia, finché dal soffitto non cala una parete ricoperta di una lastra di rame che, rovesciandosi lentamente come un’astronave severa, riflette sul pubblico una luce aurorale.
Il lavoro di Santasangre riporta il teatro all’etimologia della sua parola: “luogo della visione” e per estensione della percezione, dove ciò che accade non è storia ma istante, qui “meraviglia” dell’uomo di fronte alla natura. Dopo la fase preparatoria costituita da Framerate 0 e Sincronie di errori non prevedibili, definiti «esperimenti» al fine di accumulare materiale e verificare le direzioni da seguire, Bestiale Improvviso appare come un passo ulteriore verso il punto di fuga da cui nasce ogni prospettiva e allo stesso tempo e nello stesso senso una risalita all’origine del linguaggio scenico, del teatro inteso come luogo privilegiato in cui la materia si trasforma. Nulla di nuovo in scena, eppure avviene un rapimento. Lo spettatore, infinitamente piccolo, si annulla nella vastità del fenomeno che, crudele, bestiale nel suo essere liberazione di energia pura al di là di ogni uso umano, scava nell’improvviso del suo accadere. Una lacerazione rivelatrice che ripete la natura, dando vita, per dirla con Artaud, a una «poesia dello spazio» che può essere in grado di aprire nuovi altri mondi.
di Alessandra Cava
(foto di Adriano Boscato)
L'autore
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Redazione intermittente sulle arti sceniche contemporanee.