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Azione o narrazione? L'Antigone di Massimiliano Civica

di Altre Velocità

La scena è completamente oscurata e da quel buio, per iniziare, provengono aneli, agogni e urla mortuarie. Polinice è morto, il suo cadavere abbigliato con una divisa fascista è disteso sul bordo e da lì non andrà via finché l’ultimo spettatore non avrà abbandonato l’universo racchiuso in quella sala. Massimo Civica ci propone un adattamento contemporaneo della tragedia di Sofocle Antigone all’Arena del Sole di Bologna. Gli attori in scena (Oscar De Summa in Creonte; Monica Demuru in Ismene, Tiresia, ed Euridice; Monica Piseddu in Antigone; Francesco Rotelli in Guardia ed Emone; Marcello Sambati in Corifeo) indossano dei costumi che rimandano al preciso periodo storico della caduta del regime di Mussolini: Creonte capo partigiano, Antigone e Ismene principesse della famiglia reale italiana. «Non intendo, ambientando la vicenda nel periodo finale del fascismo e della lotta partigiana, esprimere alcun giudizio, di qualsivoglia tipo, sul tale periodo storico e sui suoi protagonisti. Ma, dopo una lunga riflessione, non ho trovato null’altro che potesse scatenare e riproporre il potenziale tragico di quest’opera di Sofocle, in modo altrettanto chiaro» scrive Civica nell’opuscolo di presentazione. «Le divise storiche degli attori sono indumenti che servono per rivelare, paradossalmente, un animo umano universale. Proprio come Sofocle “riveste” i personaggi del mito di atteggiamenti, parole e opinioni dei protagonisti storici delle lotte politiche dell’Atene a lui contemporanea, al solo scopo di “andare oltre” e svolgere un discorso sull’essenza della natura umana». Lo spettacolo propone quindi la riattivazione del messaggio “sovrapolitico” di questa tragedia, ovvero intende evidenziare il discorso teatrale sofocleo sulla natura dell’uomo potenzialmente pericolosa, senza esprimere giudizi di parte sulle due fazioni politiche di riferimento.
Trovo che il costume di Antigone sia un elemento particolare poiché in quanto aristocratica il suo abbigliamento non corrisponde a un tipico vestito da donna della famiglia reale, come quello più classico della sorella per esempio. I suoi indumenti appaiono ai nostri occhi con una lucentezza setosa ma comoda: una blusa e un pantalone. Un abbigliamento effettivamente confortevole e adatto per chi è pronto a sfidare le leggi del “tiranno democratico” Creonte pur di concedere una sepoltura degna al fratello che nessuno vuole dare. Viene dunque da domandarci come mai l’Antigone che abbiamo visto in scena aveva una voce rarefatta, tenue, bassa. L’attrice Piseddu denotava sconforto, umiltà, modestia, era sconsolata, guardava il vuoto, fissava il suolo. Dietro questa interpretazione c’è una ragione stilistica, contenutistica o è da definire “una mediocre performance”? Ismene, la sorella di Antigone che la prega di ragionare e di contenere le sue ragioni, in un secondo momento è pronta ad immolare se stessa pur di salvaguardare la sorella. Ci appare qui come una donna riflessiva, razionale, lucida; Civica ci mostra Ismene come una donna ponderata.
Quando l’ostinazione e la testardaggine ingoiano ferocemente anche l’ultima possibilità di ascolto dei consigli dei nostri cari, si sa, spesso non conduce a nulla di buono. Per l’appunto né Antigone né Creonte si dimostrano sensibili di una capacità di messa in discussione e ciò provoca la fine di tutto: la morte del compagno di Antigone nonché figlio di Creonte, Emone, che per disperazione si suicida dopo aver trovato l’amata già morta, murata viva in una grotta per punizione. Si toglie la vita anche la madre di Emone, Euridice, poiché non riesce a sostenere il peso della morte del figlio e Creonte dinanzi a tutto questo, sceglie di supplicare gli dei per ricevere la morte. Il regista ci propone dunque una lettura dell’Antigone in cui i due personaggi in conflitto non sono incarnazioni del bene e del male ma bensì due umani che si fanno loro stessi “misura di tutte le cose”: Antigone e Creonte travalicano la misura e la compassione per orgoglio e in questo modo il bene e il male si dissolvono in un’unica colpa: l’arroganza della convinzione di avere ragione.
Tuttavia, confesso che risulta difficile sposare alcune scelte sceniche: le azioni sono ridotte, i personaggi sembrano essere confinati in una estrema riduzione del pathos e del carattere: un ritmo difficile da seguire per gli spettatori.

Chiara Capizzi
(foto di Duccio Burberi)

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