Le ragazze e i ragazzi sotto i trent’anni tendono a non scegliere il teatro come linguaggio per esprimere il disagio della loro generazione, schiacciata in un presente privo di prospettive, con alle spalle i nonni e i genitori che hanno divorato opportunità e risorse oltre ogni limite, davanti a sé un enorme debito ereditato in termini di crisi economica e collasso ambientale, e in mezzo l’incessante chiacchiericcio di padri, madri, politici e manager impegnati ogni giorno a ribadire che “i giovani sono il futuro”, ma senza lasciare loro spazio che non sia all’interno dei canali predefiniti verso l’addomesticamento o l’autodistruzione. Pare che una situazione storica di tale enorme portata generi più impotenza che stimoli per esprimersi attraverso l’arte teatrale, dove si nota una presenza molto minore di giovani incazzati rispetto a quindici anni fa, quando sbocciavano gruppi come Babilonia Teatri e Sotterraneo.
In realtà questa mancanza è solo apparente; o meglio, riguarda appunto solo il teatro ma non altre arti come la musica rap e trap, un linguaggio con cui le generazioni under 30 si misurano in maniera più diffusa e viva per esprimere il loro tormento davanti alla catastrofe imminente, alla falsa retorica della meritocrazia, alla mancanza di stabilità che caratterizza la nostra epoca. Per quanto musicalmente possano essere ritenuti grevi, in Italia questi generi sono le uniche forme di espressione popolare che riescono a dirci qualcosa di sociologicamente interessante sui nati dopo la caduta del muro. Un esempio su tutti, la traccia 7 miliardi di Massimo Pericolo, rapper varesino nato nel 1992 e autore di parole disilluse («sono il futuro / ma senza un futuro») su beat strazianti prodotti dai Crookers. Nel videoclip di 7 miliardi Massimo Pericolo brucia la sua vera tessera elettorale, grida rime senza speranze («fotte un cazzo di niente / non so neanche chi è il presidente / non voto ché tanto non serve / non mi sposo così scopo sempre / voglio solo una vita decente») e provoca un effetto profondamente disturbante all’ascolto, tra l’effetto respingente della voce e della base distorte, lo sconcerto per le parole nette e violente, lo stupore per la capacità di esprimere uno stato d’animo in modo così essenziale e diretto. In meno di tre minuti 7 miliardi – ma si potrebbero citare altri titoli e artisti del genere – riesce a raccontare in maniera potente, immediata e distruttiva, come uno schiaffo in piena faccia, le inquietudini che colpiscono i nati dagli anni novanta in poi.
Non si vuole qui disquisire sui motivi storici per cui le nuove generazioni per lo più snobbano il teatro e preferiscono esprimersi coi linguaggi del rap e della trap, ma solo mettere nero su bianco un dato di fatto: sul palco i gruppi sotto i trent’anni sono oggi una rarità rispetto a vent’anni fa, e quelli ispirati verso nuovi linguaggi e idee sono ancora meno. Ma una sorprendente eccezione si è vista lo scorso agosto a Gualtieri durante Direction Under 30, festival che ha il merito di dare spazio ai gruppi di giovanissimi giudicati più interessanti dai loro stessi coetanei. Qui la coppia Niccolò Fettarappa Sandri e Lorenzo Guerrieri si è presentata con Apocalisse tascabile, una drammaturgia originale che tra ironia e rabbia racconta la disperazione della generazione esclusa, ingannata, condannata. Non per nulla lo spettacolo ha vinto il premio delle giurie, composte anch’esse solo da ragazze e ragazzi sotto i trent’anni, convinti all’unanimità da uno spettacolo che parla semplicemente di loro stessi.
Fettarappa (23 anni) e Guerrieri (29) si sono conosciuti nel 2019 durante un workshop tenuto da Elvira Frosini, Daniele Timpano e Attilio Scarpellini, e con Apocalisse tascabile hanno fatto il loro esordio sulla scena teatrale. Entrano in scena spingendo un carrello da centro commerciale e recitando tutti gli slogan delle pubblicità più famose: li declamano, li storpiano, giocano sui doppi sensi finché il sorriso degli spettatori per quelle frasi così tanto ascoltate in tv e depositate nella memoria collettiva non si trasforma in nausea per la ripetizione bulimica. I due continuano il loro flusso a lungo, come se incarnassero il feed di un social network che tutti noi scrolliamo ogni giorno, leggendo post sempre uguali, inutili, insulsi ma senza riuscire a fermarci. Guerrieri e Fettarappa sono due fantocci della contemporaneità: dapprima consumatori della periferia romana, schiavi della fidelity card alla pari di un giocatore d’azzardo; poi disoccupati alla ricerca di lavoro, vomitando i luoghi comuni dei recruiter, imprigionati nel circolo vizioso del capitalismo che contempla l’acquisto e il guadagno come unica esperienza possibile. La trasformazione è così infima, che ce ne accorgiamo quando ormai è troppo tardi: i ragazzi passano dal comprare i prodotti sugli scaffali all’essere loro stessi prodotti, per quel “mercato del lavoro” pronto a sfruttarli, tritarli ed evacuarli. La loro pare una condizione di adattamento divertito, ma forzato e inqueto: davanti a noi ci sono due giovani corteggiati, coccolati, con il barlume di un traguardo lontano, ma pur sempre in gabbia e con un’apocalisse all’orizzonte. A un certo punto il loro stato esplode in rabbia, sfogata picchiando e impiccando peluche che rappresentano in qualche modo i più adulti, i colpevoli, e infine sfocia in un finale sconsolato: «In questo crematorio di speranze diventeremo tutti terriccio universale. Vendeteci! Vendeteci tutti. Però una sola cortesia: potete farlo in silenzio? Qui c’è gente che sta marcendo. Lasciateci almeno marcire in pace», dice Guerrieri mentre indossa una maschera da sub, prima di prendere l’ultimo grande respiro verso l’annegamento.
Guerrieri e Fettarappa hanno indubbiamente talento: nonostante alcune acerbità perdonabili per l’opera prima di due under 30 (certi momenti dilagano in eccessivo cabaret e il testo può essere asciugato in diverse parti, come per esempio la lunga digressione sui problemi urbanistici di Roma), i due hanno un’energica presenza scenica e si infradiciano di vero sudore sul palco, mentre incastrano le loro veloci battute come due attori esperti. Ma a suggerire di essere davanti a una coppia da tenere d’occhio sono soprattutto le idee chiare che Fettarappa e Guerrieri hanno dimostrato di avere portando in scena uno spettacolo per nulla consolatorio, in grado di esprimere il tumulto che vivono le giovani generazioni con un intento che potremmo riassumere col celebre motto gramsciano “pessimismo della ragione, ottimismo della volontà”. Apocalisse tascabile è infatti uno spettacolo dal “nichilismo attivo”, un testo catartico che ci fa fare i conti con la mancanza totale di speranze della contemporaneità, ma con un’energia che in fondo incoraggia ad andare avanti da qualche parte anziché abbandonarsi al vuoto. Nonostante il finale disperato, l’energia che Fettarappa e Guerrieri portano in scena sembra in qualche modo voler esortare a gettare le basi verso un nuovo avvenire, dopo avere smascherato le fregature del presente. Forse in questo lo spettacolo è più lucido e costruttivo dei testi musicali scritti e ascoltati dai giovani di cui si diceva all’inizio. E ha pure più potenzialità di scuotere qualche coscienza. O almeno lo speriamo.
L'autore
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Giornalista, si occupa di teatro e di economia ed ecologia legate alle coste e al turismo. Fa parte del gruppo Altre Velocità dal 2012 e collabora con le riviste Gli Asini e Il Mulino. Ha curato e tradotto un'antologia di Antonin Artaud per Edizioni E/O e ha diretto la rassegna biennale di teatro "Drammi collaterali" a Cervia. È autore de "La linea fragile", un'inchiesta sui problemi ambientali dei litorali italiani (Edizioni dell'Asino 2022), e di "Critica del turismo" (Edizioni Grifo 2023).