Malvagio, il nuovo lavoro della compagnia Bassa Manovalanza, produzione TiPì – Stagione di Teatro Partecipato, con la regia di Michele Segreto. Formatasi nel 2013 a San Felice sul Panaro, nell’ambito di un corso di Alta Formazione sotto la direzione artistica di Claudio Longhi, la compagnia lavora da anni a stretto contatto con l’ambiente emiliano e ha recentemente coinvolto diverse realtà teatrali dislocate sul territorio nazionale. La drammaturgia originale di Gabriele Genovese, Michele Mariniello e Michele Segreto raccoglie e sviluppa evidentemente l’eredità filosofica de La banalità del male di Hannah Arendt, a partire dal concetto stesso di “malvagio” che dà il titolo allo spettacolo. Cos’è il male? Quanto, di ciò che siamo, è condizionato dalla società che ci circonda e quanto è istinto innato e naturale? Quali sono i limiti delle colpe di chi, sottomettendosi in modo più o meno consapevole alla volontà di un’autorità (o presunta tale), si macchia di un crimine? E soprattutto, l’eterna domanda che da più di mezzo secolo ci siamo posti tutti, almeno una volta: che fare, se ci trovassimo di fronte a un giovane Hitler? Domande a cui lo spettacolo non vuole dare una risposta definitiva, ma che aprono interrogativi e spunti di riflessione interessanti. Siamo all’interno di una scuola di provincia. Pochi oggetti scenici che rimandano inequivocabilmente a una dimensione scolastica: banchi, sedie, una finestrella in alto a sinistra, un’aria greve e asfissiante e, soprattutto, i celeberrimi fogli protocollo. È sera e quattro personaggi sono riuniti ormai da molte ore in un’aula in riunione straordinaria: la preside ossessionata dalle formalità burocratiche ma dal dubbio rigore professionale, il professore di chimica affascinante e moralmente integerrimo, la professoressa di italiano con traumi infantili ancora sulle spalle e il rappresentante dei genitori, giornalista, l’uomo in cui tutti ci riconosciamo, quello che non vuole assolutamente passare la sua unica serata libera lì dentro. E poi c’è il bidello con evidenti ritardi mentali, che esegue e basta senza fare domande. Un universo di figure note e riconoscibili, stereotipi forse poco approfonditi sul piano individuale ma che, insieme, ricreano l’istituzione scolastica e simboleggiano la società intera. Una riunione straordinaria con un imputato: il Malvagio, lo studente che tutti temono, il più brutto e intelligente di tutti, che riesce a trascinare pochi eletti nelle sue continue e ossessive malefatte ai danni di compagni e personale scolastico. Un soggetto con evidenti disturbi sociopatici che nessuno, in un’ora e mezzo di processo in stile La parola ai giurati, propone di mandare in terapia. Chiare le posizioni di tutti i membri della riunione. Sul fronte della professoressa debole e triste: «Il ragazzo è malvagio di natura, non si può far nulla, va espulso immediatamente». Sul fronte opposto, il professore bello e buono: «Il ragazzo è un genio, va capito, ha avuto solo influenze sbagliate, si può migliorare». L’eterno dibattito tra innatismo e culturalismo. Poi, all’improvviso, un inaspettato cambio di prospettiva: le menti offuscate e ormai deliranti dei protagonisti (tutti tranne quella dell’incorruttibile chimico) si convincono della necessità di eliminare fisicamente il Malvagio, il “piccolo Hitler”, per cancellare la sua influenza negativa dal mondo. Estirpare il problema alla radice. Un vero e proprio omicidio che, attraversando il gergo nazista, diventa un “trattamento”. Il tutto avviene in tempi veloci, in una drammaturgia che funziona, in cui momenti comici e riflessioni profonde sulla natura umana si alternano senza perdere mai un equilibrio. In una prosa piuttosto tradizionale risultano però poco giustificati i (rari) interventi musicali del narratore-canterino, personaggio totalmente esterno alla trama. Interventi introdotti con l’unica finalità di mostrare agli spettatori, con forzata ironia, le connessioni già piuttosto evidenti tra la storia mostrata sulla scena e la Storia dell’ascesa hitleriana. Lo spettacolo termina quindi con un cambio di rotta. Se inizialmente potevamo vedere nel Malvagio un riflesso della figura di Hitler, ora i professori diventano i carnefici, il ragazzo la vittima, il bidello l’esecutore materiale del delitto. Ruoli evanescenti, il Malvagio e il Buono, che s’inseguono e si invertono in continuazione. Non possiamo schierarci senza attraversare e varcare i limiti della nostra morale. Non possiamo non schierarci senza la consapevolezza che la non-scelta è una scelta essa stessa, con delle conseguenze. Assistiamo, come testimoni, sollevati dal fatto che questa scelta non è toccata a noi.
Valeria Venturelli
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Redazione intermittente sulle arti sceniche contemporanee.