WS Tempest del Lemming a Teatri di Vita siamo in 30, una piccola comunità di spettatori, un elite per il teatro. Nel grande foyer Tondelli alle 17.00 di domenica 5 marzo attendiamo, ma che cosa? Un segno? Un suono? Una figura? Sì! una figura che vestita di nero e in abiti quotidiani ci viene a prendere, ci chiede di lasciare giacche, orologi, cellulari e tutto quello che può dar fastidio al viaggio per cui quest’uomo ci indica la via. Come una carovana, in schiera, i passi che rimbombano camminando, entriamo in uno spazio oscuro, 8 attori in cerchio ci chiamano: «vieni!», ci dicono «Chi sei?» «Da dove vieni?» «Chi sono i tuoi genitori?» «Dove sei nato?» e a queste domande rispondiamo. Esita ancora un attimo l’attore, ci racconta di quando era bambino e che rimasto chiuso fuori casa ha aspettato piangendo per ore, finché i genitori rientrando gli hanno detto «Noi sapevamo che eri senza chiavi e per questo la porta era aperta. Entra, per te la porta è aperta. Ora hai la chiave». Ricevute la chiave e aperta la porta inizia la tormenta. È la tempesta di Prospero quella che agisce intorno a noi e su di noi. È la tempesta nella mente di Shakespeare. È la tempesta dei suoi personaggi. E appena caduti in questa oscurità ci si accorge che si parla della nostra tempesta, di noi come uomini e come umanità, perduti, alla ricerca del padre, naufragati nei nostri ricordi. Tutto questo naufragio avviene per successione di azioni, di istantanee, che gli attori eseguono tra di loro e con noi, toccandoci e parlandoci. Guardiamo una scena e alle nostre spalle se ne crea un’altra, i cui i contorni sono sfuocati e lontani. Siamo imbarazzati, emozionati, vogliamo parlare ma non sappiamo cosa dire, sorridiamo. Vista una scena ne cerchiamo un’ altra in questo spazio teatrale che è totale, uno spazio liquido e avvolgente, che si fa e si distrugge. In certi momenti gli attori hanno anche oggetti tra le mani, sono le loro fotografie, le loro scarpette da ballo, il loro libro, la loro bambola, segni intimi anche per noi. In tutta questa visione sentiamo anche dei suoni, delle musiche, talmente impastate con quello che vediamo e tocchiamo che non ce ne se accorge, ma li si percepisce. Come la Tempesta è stata possibile, possibile è anche la sua fine. È la fine dell’ agitazione, è la fine delle parole, è la fine dei ricordi, in sunto la morte del teatro, che è per antonomasia evanescente e impalpabile. «Siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti i sogni» dice Prospero e questi attori non sono altro che finzione, sottolineano quelli del Lemming. WS Tempest, riscrittura originale della Tempesta Shakespeariana, è il terzo lavoro, che completa assieme a Amleto e Giulietta e Romeo – lettere dal mondo liquido, una trilogia sull’ autore inglese. Dello scenario Shakespeariano però rimane ben poco: nessuna caverna, nessun sopruso, nessun chiaro personaggio perché l’opera dell’ autore è pretesto per tracciare altri sensi da dare alla parola tempesta e naufragio. Da sempre il Lemming riflette sul senso e sui modi di fare teatro oggi, per renderlo luogo di incontro e di esperienza personale e intima. È in quest’ ottica che nasce anche l’ultima produzione, è per questo che gli attori parlano direttamente ad ognuno di noi, in un rapporto privilegiato, e la scena è autoriflessiva, alla ricerca di se stessa e del suo senso profondo. «Lo spettatore è il naufrago ermeneuta dello spettacolo» scrive la compagnia e WS Tempest è tumultuoso e magmatico, profondamente esperienziale nel trovare significato in ogni singolo spettatore.
Valentino Bettega
]]>L'autore
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Redazione intermittente sulle arti sceniche contemporanee.