Fa’afafine – Mi chiamo Alex e sono un dinosauro, di Giuliano Scarpinato, ha vinto il Premio Scenario Infanzia. Era il 2014 e da allora lo spettacolo premiato ha iniziato a girare l’Italia scontrandosi con polemiche e dinieghi, come la raccolta firme intrapresa da Generazione Famiglia al fine di impedirne la circolazione nelle scuole. Il 18 marzo a Teatri di Vita è stato riproposto al pubblico bolognese all’interno della rassegna Interscenario 6. Lasciamo allora stare le polemiche e vediamo cos’è Fa’fafine. Perché prima di tutto è uno spettacolo pieno di freschezza e strutturato con cura e intelligenza. La vicenda – ispirata dal blog Raising my rainbow di Lori Duron – parla di Alex, un ragazzino ancora incerto della sua sessualità, che ama mescolare nel suo abbigliamento indumenti e accessori sia maschili che femminili, la maschera di Thor come il vestito da principessa. Nei giorni pari è femmina, nei dispari maschio. Insomma non sa scegliere. Non vuole scegliere. Come i Fa’fafine, gli abitanti di Samoa che, incerti della loro natura sessuale, dichiarano il loro essere ibridi senza per questo essere osteggiati dalla società. I sentimenti che Alex nutre per il compagno Elliot mettono in apprensione i genitori (una madre dal carattere forte e un padre incerto e pauroso, svelto a perdere i sensi quando la situazione si fa difficile), che vediamo sulla scena per mezzo della proiezione video, inquadrati nel buco della serratura della camera del ragazzo, dove per precauzione si è chiuso. Proprio attraverso la luce del proiettore che si infrange sulle tre mura della cameretta – ricostruita sul palco con i suoi particolari, il lettino al centro, l’armadio dei vestiti – vive l’immaginazione di Alex; la stanza diventa così un acquario, una nave spaziale che come in sogno lo porta fino a Samoa, dove nessuno lo troverà strano, salvato dai Fa’fafine che assumono così caratteristiche quasi extraterrestri. In scena è il solo Alex, interpretato da Michele Degirolamo, che racconta i suoi pensieri e le sue fantasie confidandosi con i suoi amici pupazzi. E con leggerezza si muove per il quadrato della camera, con una fisicità capace di restituire la spontaneità dell’infanzia ancora libera dalle costrizioni sociali, che imbrogliano in rigidi confini la naturalezza del movimento dei bambini. Gioca a pallone, come al parco dove ha conosciuto Elliot, e interagisce con tutti gli accessori della stanza: l’armadio con i suoi sgargianti e colorati vestiti, la scarpa rubata alla madre, il letto che si apre facendolo scomparire quando i fa’afafine vengono a prenderlo. È con questa vivacità che Fa’fafine vuole comunicare la possibilità di qualcosa che è fuori dall’ordinario: i genitori di Alex infatti riconoscono la libertà del figlio di poter essere quello che desidera, e lo accompagnano a scuola vestendosi a loro volta con abiti del sesso opposto. È evidente la difficoltà di parlare di questioni di genere soprattutto verso un pubblico come quello dei bambini che si ritiene debba essere protetto dalla conoscenza di qualsiasi condizione di differenza che devii da quella che è la norma borghese. Può invece essere il teatro, con spettacoli come questo, un’occasione per far scoprire all’infanzia la libertà di essere, ostacolando così il nascere di ogni discriminazione.
Matteo Boriassi
Trailer : https://www.youtube.com/watch?v=882LYNkOtCA Suggerimento musicale: https://www.youtube.com/watch?v=lwQmDvuORY0]]>L'autore
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Redazione intermittente sulle arti sceniche contemporanee.