altrevelocita-logo-nero

I contorni teatrali delle nostre paure. A proposito de Il contouring perfetto di Domesticalchimia

di Altre Velocità

Giovedì 4 maggio è andato in scena all’ Arena del sole Il contouring perfetto. I contorni ideali in cui vivere, primo spettacolo della compagnia milanese Domesticalchimia. Come ha dichiarato il drammaturgo Riccardo Baudino, il progetto è nato «da un’idea della regista (Francesca Merli) che vuole raccontare, attraverso la protagonista Anita, le dinamiche dell’isolamento e dell’auto reclusione di una blogger». Nei due articoli seguenti ne descriviamo e analizziamole componenti drammaturgiche e le tematiche.

Uno sguardo alla messa in scena Entrando in sala, Zoe Pernici è già seduta sul lato destro del proscenio, illuminata da una luce rettangolare. Questo tipo di luce sembra incorniciare i contorni del letto dove Anita, la blogger impersonata dall’attrice, dorme. L’appartamento in cui Anita vive è virtuale in quanto le sue componenti come gli oggetti, le stanze, non esistono fisicamente ma vengono mimate con precisione dalle attrici. Elemento importante di questa scenografia eterea è il computer, dove i movimenti che la blogger compie nella sua alienata attività giornaliera vengono doppiati dall’impianto audio, come il suono dei tasti della tastiera e gli effetti sonori dell’attivissima chat. Lo spettacolo si sviluppa quindi nella relazione che Anita crea con se stessa – principalmente attraverso il testo – e con le altre attrici, due personaggi che occupano la sua mente: la sua amica Sam, che si esprime esclusivamente tramite i linguaggio del corpo, e la Signora (Barbara Mattavelli), che assilla la protagonista con teorie sui complotti intentati dalla razza aliena dei “rettiliani”. Elena Boillat – interprete di Sam, che ha curato i movimenti scenici dello spettacolo – utilizza azioni che si avvicinano alla coreografia, amplificando la connotazione fittizia del suo personaggio. Condizione che diventa apertamente manifesta quando, venendo Sam uccisa da Anita, rovina a terra con movimenti precisi, sgonfiandosi come una bambola di plastica mentre con la voce imita il sibilo dell’aria che fuoriesce da un ipotetico squarcio o valvola aperta. Finito lo spettacolo la prima cosa che ho notato è di non essermi annoiato. Il ritmo del testo e dell’azione delle attrici garantisce una presa per l’ora e dieci minuti di durata. Quello che manca invece è un momento che faccia precipitare lo spettatore interamente dentro lo spettacolo, lo assorba nella sua atmosfera e lo sorprenda non esclusivamente sul piano intellettuale garantito dal testo. Concludo infine con un confronto: sapevo che alcuni membri del gruppo vengono da esperienze con Latella e mi aspettavo quindi un lavoro su quelle corde; con lo scorrere dello spettacolo ho notato invece come questo lavoro di Domesticalchimia abbia molti punti in comune con quello di Babilonia Teatri. Il testo è infatti il piano principale della messa in scena ed è, nella maggioranza dei casi, diretto frontalmente al pubblico. In entrambi i casi emerge un universo pop veicolato tramite descrizioni ed elenchi di cose – il contenuto del pacco mandato ad Anita dalla madre – e nomi – Vespa, Belen, Alfano, Ibrahimovic e altri personaggi noti che vengono scanditi rapidamente. La differenza con il lavoro della compagnia veronese è tuttavia la mancanza di una forte poetica visiva, che ne Il contouring perfetto è praticamente assente. Matteo Boriassi  
  Definire i contorni delle nostre paure Il palco su cui si muove Anita è vuoto, non ci sono scenografie né oggetti. Eppure grazie ai suoi gesti e alle sue battute è facile immaginare i vari ambienti della casa: la camera da letto, il bagno con i mille prodotti per la cura del corpo e del viso, la cucina dove lei si cucina frittate e beve l’acqua del rubinetto, la sala del computer, dal quale chatta, manda video e naviga sul web. Il vuoto e l’assenza, però, sono presenti in questo spettacolo sotto altre forme, attraverso tutti i riferimenti testuali: i tupperware che la ragazza restituisce alla madre sono vuoti, come pure le cantine delle case, che a lei incutono tanto timore; Sam, la sua amica immaginaria, con cui parla per lo più di uomini e di sesso (che Anita non pratica) è muta, è quindi priva di voce; il suo appartamento è arredato con cura maniacale per riempire il vuoto dello spazio usufruito da una persona sola e le giornate trascorrono fra corse sul tapis roulant e condivisione di tutorial di maquillage su Internet per colmare il vuoto del tempo. Anita affronta questo senso di mancanza, di cui a fine spettacolo si scoprirà l’origine, nutrendolo di illusioni: immagina un tempo in cui gli uomini non moriranno più, in cui le televisioni saranno sempre accese e quindi nessuno si sentirà più solo, identifica la felicità nello stare fra le mura domestiche a curare il suo blog, si sente realizzata perché ammirata e presa a modello dai suoi follower. I comportamenti e i ragionamenti della protagonista, presentati in modo tanto semplice e diretto da risultare banali, fanno riflettere ciascuno di noi su tematiche di cui tutti in qualche modo facciamo esperienza: la solitudine, la depressione, la paura, la perdita, il contrasto fra come si è e come si vuole (o si deve?) apparire sui social, o più in generale nella società. La video blogger Anita dà l’impressione, sul web, di essere una donna soddisfatta e sicura di sé. È cosciente, tuttavia, che questa vita virtuale limitata fra le mura di casa, i “contorni ideali in cui vivere”, non la rende felice. Conta le macchie di muffa sul soffitto, ma in realtà desidererebbe contare le stelle del cielo, all’aperto. Sa che la scusa “Oggi non esco perché ho tante cose da fare” è una bugia, sa che Sam è un’allucinazione provocata dalla sua malattia e sa che uscire dalla porta di casa la salverebbe. Però non riesce a farlo. Inserire nella seconda parte dello spettacolo teorie complottiste e alieni dà forse una patina di visionarietà inutile e un po’ disturbante al lavoro, che senza dubbio incide nel giudizio globale su di esso. Ciononostante, la storia messa in scena da Domesticalchimia, che si rivela essere molto più cupa e pressante di quanto ci aspetteremmo all’inizio, ha il pregio di lasciarci uscire da teatro con delle domande. Che valore diamo ai social network? Quanta importanza ha il giudizio degli altri sul nostro aspetto fisico, sulle abitudini alimentari, sul modo di intendere la sessualità? Come affrontiamo le nostre paure? La storia della protagonista è davvero tanto diversa da quel che succede nella realtà? Cosa saremmo disposti a fare per aiutare qualcuno che si trova nella stessa situazione di Anita? Marta Buggio]]>

L'autore

Condividi questo articolo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

articoli recenti

questo articolo è di

Iscriviti alla nostra newsletter

Inviamo una mail al mese con una selezione di contenuti editoriali sul mondo del teatro, curati da Altre Velocità.