Dal fondo della scena si accendono le luci di un tabellone che funge da datario, la luce rimbalza sul linoleum bianco fino a illuminare la platea. Gli spettatori vengono immediatamente presi in causa: quello che sta per accadere ci riguarda. Siamo dentro a un quadro di Hopper, soli e trafitti da un fascio di luce, dinanzi alla scrittura affilata di Daniele Villa che ci raduna tutti attorno ad aneddoti storici paradossali che ci parlano dell’essere umano e della sua natura bizzarra, contraddittoria, imprevedibile. Testimoni muti, siamo risucchiati dal turbine di circostanze assurde che ci vengono riproposte in scena da Sara Bonaventura, Claudio Cirri, Lorenza Guerrini, Daniele Pennati, Santolini in stato di grazia, veniamo catturati dal vortice della narrazione che procede sincopata, ipnotizzati dai gesti che dipingono l’aria sulle note dei notturni di Chopin piuttosto che dei Portishead, acchiappati dai rallenty che congelano istantanee mai scattate della nostra storia. Secondo quanto dichiarato dai Sotterraneo le intuizioni che guidano il nostro inabissarci come relitti del Titanic nel fondo dell’Oceano della Storia e delle micro narrazioni, nascono dall’intreccio tra il pensiero del filosofo Walter Benjamin e quello dello storiografo Yuval Noah Harari. Quel che è evidente è come la scrittura, che procede per battute fulminanti, sia capace di farci ridere e al tempo stesso di porci con ferocia davanti alla crudeltà della dimensione di incertezza nella quale viviamo (e abbiamo vissuto come sapiens) su questa nostra terra al collasso. Ci consola solo parzialmente la consapevolezza di non essere stati gli unici, storicamente, a vivere dei momenti di profondo mutamento a partire dal 10.000 a.C. in avanti.
Siamo nella foresta dove l’uomo primitivo vive in uno stato di vigilanza tale da reagire istintivamente a ogni fruscio come possibile pericolo imminente perché “noi sapiens trasformiamo la realtà in un racconto già quando camminiamo nella foresta 10000 anni prima dell’anno zero. Il racconto ci fornisce un modello di realtà utile per sopravvivere: secondo questo modello ogni fruscio nel fogliame, ogni ramo spezzato, ogni movimento d’aria è sempre un predatore”. Altra data, altra gestione spaziale del ring dove si combatte questo match a suon di racconti. 1943, Roma, notte. Siamo nella casa di Carla Capponi, intellettuale antifascista, che ospita una riunione clandestina di partigiani e teme che i vicini o i passanti, sentendo i rumori della discussione, chiamino la polizia. Per coprire questi rumori suona al piano i “Notturni” di Chopin. Le note ci conducono in quell’atmosfera sospesa, tra paura e desiderio. E così via, circostanze assurde si alternano come in una centrifuga: alcune sono note, altre ai limiti dell’irrilevanza ma il tutto si mescola e trasforma sotto ai nostri occhi in una playlist, in una coreografia che a grandi balzi attraversa le storie tanto in maniera sincronica quanto diacronica. Non il semplice susseguirsi di fatti che attraversano le epoche – dunque – quanto una fotografia della realtà, disegnata dall’intuito di una compagnia che tenta di catturare l’istantanea sfocata della storia dell’essere umano.
Perché dunque sarebbe non solo importante ma fortemente consigliato portare delle classi a vedere questa ultima opera dei Sotterraneo? Per avere l’occasione di essere di fronte a una hystoria incarnata, alla possibilità cioè di vedere alcuni nostri simili porsi in ricerca. Storia nel suo significato etimologico allude al vedere. Vedere per sapere, vedere per conoscere. E dunque vedere degli adulti, professionisti, mettersi in gioco, in un corpo a corpo serissimo eppure divertente, cercando (forse vanamente) se non di afferrare, almeno di affrontare questo nostro oggi confuso, complesso, aperto a trasformazioni e trasformismi, ci allena a osservare questo nostro mondo e osservandolo, affrontarlo nelle sue complessità, nelle sue asperità. L’assenza di linearità inoltre è una occasione alla quale sovente gli studi di storia a scuola non ci abituano, troppo spesso ancorati a una visione falsamente consequenziale, fintamente lineare, artificialmente uniforme, lì dove sappiamo che se cause e conseguenze scatenano e conseguono a degli eventi, molti accadimenti intrecciano e confondono i piani, mescolano le carte.
Far sperimentare al nostro sguardo una dimensione di incertezza (narrativa, estetica, linguistica) mediata dalla lente di ingrandimento dell’arte ci fa comprendere che anche questa dimensione è una possibilità del reale. Che sia il teatro a sussurrarci nelle orecchie è elemento di ulteriore spaesamento, una feconda sospensione dell’incredulità e una spalancata porta d’accesso al dubbio.
fotografie di Giulia di Vitantonio
L'autore
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Classe 78, veneta di nascita e bolognese d’adozione, si laurea in lettere e filosofia al Dams Teatro e per alcuni anni insegna nelle scuole d'infanzia di Bologna e provincia e lavora a Milano nella redazione di Ubulibri diretta da Franco Quadri. Dal 2007 è giornalista iscritta all’ordine dell’Emilia-Romagna. Ha collaborato con La Repubblica Bologna e l’Unità Emilia-Romagna scrivendo di teatro e con radio Città del Capo.