Basterebbe sfogliare la postfazione dedicata all’Ucraina, nella sua inevitabile disorganicità, per capire che New Performing Practices in Eastern Europe è un documento prezioso. E non solo perché offre una panoramica su scenari teatrali generalmente poco conosciuti da noi, ma soprattutto per il metodo con cui traccia in essi sentieri multiformi e sfaccettati. Come dichiarato nell’introduzione, l’intento non è infatti quello di offrire un quadro esaustivo, bensì di captare delle tendenze. Alternando un breve saggio critico e un’intervista per ciascuna nazione, il libro si addentra nelle scene contemporanee di Bulgaria, Repubblica Ceca, Croazia, Moldavia, Polonia, Romania, Russia, Slovacchia, Slovenia e Ungheria.
Ciò che traspare dalla filigrana pur fitta di date e nomi è una premurosità sincera, quasi frenetica, nei confronti del teatro e delle sue sorti, e con essa l’urgenza – lasciato da parte qualsiasi piglio accademico – di legare costantemente il discorso alla terra e alla storia. Perché se il punto di partenza è certamente il chi siamo, la domanda di arrivo sfocia senza esitazioni in un dove andiamo che vuole fare i conti col passato. Anzi, mai si danno istantanee vere e proprie ma immagini in movimento, bagliori di un guardare al teatro con un occhio dentro e uno al di fuori di esso, fino a confondere i due poli.
Stupisce la capacità di ogni autore di identificare esempi puntuali e, allo stesso tempo, restituire il contesto generale, così come stupisce la volontà precisa di andare sempre un po’ più in là della situazione data. A digiuno della maggior parte degli artisti di cui si parla, si tratta sicuramente di una lettura difficile ma la visceralità dell’approccio costituisce un sottotesto sufficiente di per sé. Ed è appunto la ricerca, se non di un tempo, almeno di un passo inedito nel sistema teatrale in senso lato che emerge da ogni scritto, nonché la consapevolezza che occorra riaprire vecchie ferite perché dal loro solco sgorghino inaspettate riconciliazioni. Come dice giustamente Natasa Govedic nelle pagine che descrivono la scena croata, la partita si gioca tutta sul difficile equilibrio tra dissenso (continuo prendere le distanze dalla comunità) e consenso (considerare la comunità come un’orizzonte non problematico). Per le regioni balcaniche questo significa certamente fare i conti con lo stato-nazione, che è fra i temi più analizzati sia dai critici che dagli autori. Dice Oliver Friljic di voler provocare la società ad uscire dal proprio «matrix di auto-vittimismo» e che l’attore sul palco dovrebbe diventare «un soggetto politico, in modo da trovare la sua vera rappresentazione e non rimanere uno strumento». Per i paesi geograficamente e culturalmente più vicini alla Russia, invece, vuol dire capire la fine dell’Unione Sovietica in tutta la sua ambiguità di crollo e punto di ripartenza; vuol dire, nelle parole del critico Witold Mrozek, capire come combattere la «lotta per l’immaginario: forse, è proprio quando perdiamo la nostra capacità di creare utopie, quando cessiamo di immaginare il futuro, che tutta l’energia delle fantasie di una società si concentra sul passato«».
New Performing Practices in Eastern Europe è infatti storia di orfani ed esuli, di ipostasi che si fanno sussurri, certo flebili ma finalmente più agili. Là dove vigevano la Patria e il Verbo, ecco affacciarsi comunità e racconti, di cui il teatro diventa luogo privilegiato di transito, spazio in cui urlare verità che non paiono poter essere enunciate altrove. Non perché dentro al palco vi sia maggiore libertà di espressione, ma perché solo lì l’evento, dandosi nella sua doppia natura di “fatto” e di “simbolo”, riesce a farsi portatore di interrogativi nuovi. Innanzitutto, che rapporto intrattenere con il reale? Molte delle scene descritte, in particolar modo quella rumena e moldava, vedono l’emergere, la crisi e il ritorno di un teatro-documentario, profondamente neo-realista, che non fa mistero di voler indagare la storia cruda dando voce ai soggetti cui è stata di volta in volta sottratta. Eppure, anche qui, la domanda non può che ricadere sul come, perché il teatro non è più arma né strumento semplicemente applicabile alla realtà. Dice il critico Rok Vevar a proposito della situazione slovena che il reale può emergere solo in quanto «taglio della differenza dentro il testo e fra il testo». Inoltre, cosa farsene della tradizione? Quale atteggiamento assumere verso le influenze che arrivano da ovest? Ivan Vyrypaev, autore simbolo del movimento New Drama russo, parla della differenza fra la sensualità e le emozioni. «Il teatro russo è molto sensuale e la sensualità manca oggigiorno a ovest. Il teatro dell’ovest è molto emotivo e concettuale. Sensualità ed emozioni non sono la stessa cosa: la sensualità è ciò che avviene nel profondo, mentre le emozioni ne costituiscono la reazione superficiale. Ma, d’altra parte, la Russia ha sempre avuto problemi con il gusto e l’estetica, non siamo mai stati bravi a lavorare con la forma».
È allora un teatro nudo quello raccontato qui, che non ha alcuna voglia di autocelebrarsi né tanto meno di offrirsi sotto la lente di categorie preconfezionate; che decide di scoprire tutte le carte perché capisce di non potere (di non dovere) bastare a se stesso. Ma – attenzione – non è certo un teatro che chiede aiuto. Al contrario, se esiste una bussola nella complessità artistica, geografica e politica di New Performing Practices in Eastern Europe è la coscienza che la contraddizione sia l’unica comunità abitabile per la ricerca scenica. Stretti nella morsa fra tradizione e innovazione, oppressione e indipendenza, gli artisti e i critici del libro sanno di dover operare dal di dentro, nella speranza, come afferma la rumena Iulia Popovici, che «come lentamente cambiano le condizioni di produzione, così lo faranno le pratiche creative».
New Performing Practices in Eastern Europe
Sibiu International Theatre Festival Book Collection, 2014 [CARTIER]
Edited by Iulia Popovici
Indice
Message from the President of the Sibiu International Theater Festival, Constantin Chiriac
An Introduction by Iulia Popovici
Bulgaria
Kalina Stefanova, Life is beautiful? Or optimistically about Bulgarian Theater
Viliya Monovska, Self-irony is the valency of humility. Interview with Karmen Donev, the modest actor, who almost never gives interviews
The Czech Republic
Jan Jiřík, Czech theatre culture in the first decade of the third millennium
Lukáš Jiřička, Acting: 10%. Interview with performance group Handa Gote
Croatia
Nataša Govedić, “Security forces” of belonging and the Croatina stagescape
Suzana Marjanić, Interview with Oliver Frljić
The republic of Moldova
Larisa Turea, Those magnificent fools of the audience king
Iulia Popovici, No one will stop beating his wife at home because he saw a theater show. Interview with Nicoleta Esinencu
Poland
Witold Mrozek, History and Politics. Polish theater fighting for imagination
Maciej Nowak, I don’t want to do theater anymore. I’ve got bored. A dialogue with Pawel Demirski
Romania
Iulia Popovici, Changing the paradigm of reality: form authorship theater to minimalism and documentary
Oana Stoica, Where does it say that art theater can’t be socially engaged? Interview with Radu Afrim
Russia
Kristina Matvienko, Life on the periphery: how the post-soviet theatrical avant-garde infiltrated the new language of Russian theater
Ioana Mălău, The play is simply a means of awakening. Interview with Ivan Vyrypaev
Slovakia
Ján Šimko, Creating an institution. The paradoxes of communication through theater: the example of Slovakia.
Dária F.Fehérová, Interview with Michael Ditte (playwright and dramaturg of Theater Pôtoň) and Iveta Ditte Jurčová (director of Theater Pôtoň)
Slovenia
Rok Vevar, A current view of contemporary dance arts in Slovenia
Amelia Kraigher, The bigger threat to theater is humanism. Interview with Sebastojan Horvat
Hungary
Andrea Tompa, The previous government gave us money, this one gives us subjects. Aesthetics and politics of the independent scene in Hungary
Judit Csáki, On the road. Interview with Béla Pintér
Addenda
Ukraine
Viktor Sobiianskyi, Theater in times of cholera. Interview and notes by Iulia Popovici
Afterword by Joanna Krakowska, Politics of disillusionment
L'autore
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Giornalista e corrispondente, scrive di teatro per Altre Velocità e segue il progetto Planetarium - Osservatorio sul teatro e le nuove generazioni. Collabora inoltre con il think tank Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa, occupandosi di reportage relativi all'area est-europea.