#06
Di universi intergalattici, viaggi spazio-temporali e mondi extra-terrestri
La fantascienza tra palcoscenico e frequenze radiofoniche
a cura di Ilaria Cecchinato e Rodolfo Sacchettini
3,2,1.. Ignition!
IF / Invasioni (dal) Futuro
di lacasadargilla
L’universo è fatto di storie, non di atomi
Muriel Rukeyser
Potremmo definire IF/ Invasioni (dal) Futuro un progetto pluridisciplinare (realizzato grazie al bando Estate Romana del Comune di Roma e a Teatro di Roma) che da quasi dieci anni lacasadargilla ha disegnato intorno e grazie alle scritture e alle questioni sempre più urgenti della fantascienza. Non a caso questo cosiddetto genere – costruttore di mondi e di modelli sperimentali, seminatore di storie, esperimenti e riflessioni – ci ha condotti verso il dispositivo diffuso, sempre in mutazione di IF. Dispositivo misto che, oltre alle forme più spettacolari – ideate ragionando su una specifica matrice narrativa della fantascienza traghettata verso il teatro – contiene e ripensa installazioni multimediali site-specific, conferenze fra filosofia, neuroscienze, etologia e fantascienza, workshop di scrittura, radio. IF ha certo il suo centro emanatore dal vivo nella forma melologo, un teatro musicale in cui gli adattamenti di romanzi e racconti si costruiscono quasi come i libretti di un’opera contemporanea di cui la struttura musicale e l’ambiente sonoro sono le pareti che contengono la storia e l’humus da cui questa discende, già dunque generatrici di un contenuto. Un corpo sonoro e semantico che permette alle diverse matrici narrative, alla drammaturgia e alla voce dell’attore di restituire il portato descrittivo, immaginifico e riflessivo di una letteratura che altrimenti sarebbe solo appannaggio del cinema. Si tratta letteralmente già di un teatro per l’ascolto in cui è la scrittura stessa a prodursi in una forma sonora di volta in volta anche molto diversificata. E in questo seminato, il lavoro per immagini proiettate che da sempre accompagna i progetti de lacasadargilla, si muove libero da ogni restrizione legata a una trama, si stratifica, procede per associazioni e assonanze, macroscopie, architetture e dettagli. Di nuovo, non a caso, IF ha prodotto nel tempo due oggetti particolari propri dell’ascolto: la Sonda Rosetta, costruita sul modello della sonda originaria, pensata per una diffusione urbana dei testi adattati e registrati negli anni, a disposizione dei passanti grazie a un sistema di cuffie; e Radio IF, il cui palinsesto è stato costruito in omaggio alla Guida Galattica per Autostoppisti di Douglas Adams. Come un vero portale narrativo, Radio IF ha dunque dei personaggi e una sua trama fantascientifica originale che procede nei giorni e che contiene, ad esempio, racconti del repertorio di IF, la rubrica IF Science con interventi di scienziati e specialisti sui diversi temi innescati da ogni testo, Il bollettino del traffico Galattico o l’oroscopo astrale per vivere in armonia con il movimento dei pianeti, dedicato a tutti gli ascoltatori (umani e non), Le interviste impossibili ai cittadini, o ancora Le sinossi pangalattiche in cui i conduttori lanciano recensioni semiserie di libri e film di fantascienza anche introvabili.
Radio intergalattica
È già evidente come per noi il rapporto tra radio e fantascienza sia stato fondativo, all’origine c’è indubbiamente La guerra dei mondi in cui Orson Welles, con il suo solito formidabile, intuito di fatto inventa un genere nel genere e lo fa non a caso grazie e per la radio facendo letteralmente irrompere nel territorio degli Stati Uniti – solo attraverso il suono – un’invasione aliena. È grazie al grado di immersività percettiva prodotta dal mezzo radiofonico, al suo trasmettere più o meno veritieramente in tempo reale dentro uno spazio specifico, quello intimo delle case e quello ancora più privato di un corpo/psiche che allenta le maglie, che la radio riesce ad accadere in tutt’altro modo: opera come una trivella – nel suo diffondersi tra pareti e ossa – e agisce sul principio di realtà attraverso il quale ‘crediamo e diamo forma al mondo’. E lo fa in modo perturbante e incisivo rispetto ad altri mezzi che richiedono l’attivazione del principio di visione. Ne consegue che quell’iper-oggetto sonoro che è per noi la radio diventa un compagno di strada esemplare per restituire alla fantascienza tutta la portata immaginifica di costruttrice di mondi quando maneggia volutamente ipotesi antropologiche, morfologiche e sociali anche implausibili o radicalmente non umane, che si sottraggono alla descrizione intesa come resa immediata del visibile. In una versione per l’ascolto, ad esempio, un libro come Solaris di Lem, il pianeta senziente con i suoi vertiginosi mimoidi e tutto l’impressionante ragionamento sul “dio bambino”, si affida alla potenza rilasciata dalla scrittura nella sua compiutezza tridimensionale di racconto sonoro letteralmente installato nel cervello di chi ascolta. Abbiamo sempre immaginato IF come una sorta di stazione trasmittente interstellare che innanzi tutto inviasse suoni e storie in un tempo reale, vero o presunto che fosse, reperti e messaggi da un futuro anteriore che ci parla e ci riguarda.
Riferimenti dall’iperspazio
Bradbury, Simac, Sheckley cui abbiamo dedicato il primo dei melologhi sci-fi il cui titolo, ancora non a caso, era Radio Recall; sempre Philip Dick e tanto cinema che gli si è ispirato, naturalmente Blade Runner di Ridley Scott; Solaris di Lem e di Tarkovskij ein questi ultimi anni Trilogia dell’Area X di VanderMeer con cui abbiamo iniziato IF al racconto seriale e a una riflessione disseminata su quella zona, mutata e aliena, nata misteriosamente al centro della Terra – impossibile da comprendere quanto Solaris – che altera ogni creatura e manipola lo scorrere del tempo come un organismo esteso, di natura radicalmente non umana; o Ted Chiang straordinario scrittore cino-statunitense con il suo Storia della tua vita magnifico racconto sul linguaggio, l’amore, la comunicazione e il tempo, da cui Villeneuve ha tratto Arrival. Potremmo continuare a lungo, perché i riferimenti sono tanti e affondano le proprie radici ben oltre la fantascienza, in tutte le nostre letture teoriche e in una ricerca costante che continuiamo a fare grazie a IF che, per esempio, ci ha fatto scoprire La figlia di Muo-Ka del giovane scrittore indiano Indrapramit Das.
Gli sfocati confini tra teatro e radio
In un certo senso per noi i confini tra radio e teatro sono costantemente ri-negoziabili, perché li pratichiamo entrambi con attenzione minuziosa alle scritture e al corpo significante della voce, quindi questi due media si sono reciprocamente parlati e informati nel tempo. Però andando a guardar bene, le corrispettive drammaturgie nascono su parametri diversi ed è utile ricordarseli per continuare a far si che s’influenzino a vicenda. Ciò che alla radio si può rendere attraverso il rumore – ad esempio il passaggio di una macchina fuori da una finestra – a teatro non funzionerebbe allo stesso grado di verosimiglianza in assenza di un’automobile vera, a meno di non trasformare quel suono in un fatto strutturale, dunque pienamente reale. Alla radio tutti i suoni più o meno naturalistici del mondo hanno una potenzialità narrativa più incisiva che a teatro, ma d’altro canto questi stessi suoni possono essere manipolati, in quanto pareti stesse della narrazione, fino a diventare anche tutt’altro, con una valenza metaforica, psichica e psicanalitica, o soltanto immaginifica, spesso più immediata grazie all’assenza di visione, come dimostra ad esempio l’uso del grido e delle scogliere in The Testament of This Day di Edward Bond (realizzato per Radio3). Anche scrittura e recitazione, sempre pensando a Bond, sembrano volersi permettere nel mezzo radiofonico, ellissi, sbavature e un range molto più ampio d’azione vocale proprio in virtù del fatto che sono completamente svincolate dallo sguardo dello spettatore e libere dal volto dell’attore. Distant Lights from Dark Places di Andrew Bovell (sempre realizzato per Radio3) è un altro ottimo esempio, perché ha in qualche misura la natura di una distopia – relazionale e antropologica – in cui l’elemento concreto più significativo, psichico e in qualche modo prepotentemente sonoro in cui Bovell ci immerge, il “bush”, è l’immensa sterpaglia australiana in cui il bianco d’origine europea è costretto a fare i conti con se stesso e i propri rimossi. Il quartetto di personaggi che Bovell concerta in una vertiginosa sincronia di linee narrative incrociate, richiede – per trattenere la trama senza perdere la natura perturbante dei pensieri e dell’arco narrativo – un nitore recitativo immediato a ognuna delle figure. Si tratta di rendere il movimento del corpo vocale e psichico di ognuno, l’atmosfera dei duetti, le tensioni reciproche, le esitazioni e le minuscole iterazioni involontarie nella pasta e nel colore dell’emissione sonora. Ma di nuovo, la linea dell’orizzonte su cui proviamo a fare teatro è la stessa, perché anche quando si tratta solo di cosiddetta drammaturgia del corpo, in qualche modo, il teatro che facciamo è un teatro per l’ascolto, auspicabilmente inteso nel senso più ampio della parola, perché dall’ascolto scaturiscono visioni, siano esse concretamente visibili – come nel teatro – o concretamente figurabili – come nella radio. Insomma è ancora quel folgorante Carmelo Bene di «quando pronunci la parola carro un carro ti esce dalla bocca».
lacasadargilla è un collettivo nato nel 2005, il cui nucleo principale è composto dall’autrice e regista Lisa Ferlazzo Natoli; dal regista e disegnatore del suono Alessandro Ferroni; dall’attrice e coordinatrice Alice Palazzi; dalla ricercatrice e artista visiva Maddalena Parise. I loro lavori si innestano su scritture originali, riscritture letterarie e testi di drammaturgia contemporanea, e riflettono attorno al tempo, alle mitografie e alle eredità linguistiche, psichiche e familiari che legano l’essere umano al passato e al futuro. Alla base della ricerca più recente c’è l’ampio tema dell’estinzione di tutti quei sistemi delicati e complessi che reggono relazioni, immaginazioni, antropologie ed ecosistemi. I progetti dell’ensemble assecondano un principio musicale, tematico e associativo che permette allo spettatore l’elaborazione di un testo come movimento immaginifico e riflessivo. Lacasadargilla realizza progetti speciali allargati, veri e propri esperimenti “non teatrali” per attraversare un tema o un testo nei suoi nodi fondamentali costruendo un dialogo tra diverse discipline artistiche.
Il radiodramma è come un film: Il teppista stellare e la radio degli anni Ottanta
Intervista a Valeriano Gialli
di Ilaria Cecchinato e Rodolfo Sacchettini
Valeriano Gialli ha attraversato gli anni d’oro della sperimentazione teatrale, lavorando a fianco di Carlo Quartucci e del suo maestro di regia Aldo Trionfo. Fonda nel 1974 con Franco Branciaroli la sua prima compagnia indipendente Armata Brancagalli con la quale realizza numerosi recital di poesia. Nel 1979 si forma la compagnia Teatro U! con Giorgio Lanza e Nadia Ferrero. Dal 1983 in Valle d’Aosta cura la rassegna Paesaggi mondani, presentando in luoghi selvaggi e naturali le principali compagnie italiane del nuovo teatro. Partecipa a molti radiodrammi nel periodo sperimentale di Radio Torino e in particolare realizza due serie di fantascienza: Il teppista stellare (1982) e Oltre Plutone (1983).
All’interno di Audiobox, il programma di sperimentazione radiofonica della Rai, nel 1982, in ben tredici puntate, va in onda Il teppista stellare, una serie fantascientifica. Ci puoi raccontare la genesi?
«L’idea di questo radiodramma nasce proprio in rapporto alla struttura sperimentale di Radio Rai di quegli anni, diretta da Pinotto Fava, ma anche dall’incontro con un suo collaboratore conosciuto negli studi di Torino, Armando Adolgiso, che dopo aver visto un mio spettacolo, Estasi fisico magnetica, mi ha suggerito di proporre un progetto radiofonico. Il personaggio del teppista ha origine invece da Il bagno di Majakovski, una pièce con la regia di Giorgio Pressburger andata in scena al Teatro Stabile di Torino e in cui io, tra un atto e l’altro, recitavo delle poesie dell’artista russo, tra le quali proprio Il teppista. In quel caso si trattava di un personaggio negativo, ma ne ero attratto, forse perché nella vita sono un po’ teppista anch’io. Mi piaceva pure per la sua tendenza alla solitudine e proprio a partire da questa caratteristica è nato un personaggio che viaggia solo nello spazio. L’aspetto “stellare” sorge dalla mia suggestione verso la fantascienza, letteraria ma soprattutto cinematografica».
Quali erano i tuoi riferimenti per il genere fantascientifico?
«Sul piano letterario principalmente James B. Ballard. Mi affascinano non tanto le narrazioni dalle trame tecnologiche, quanto quelle con personaggi e situazioni sensitive. Ricordo un racconto ambientato in un pianeta dove la luce cambiava continuamente colore a causa degli altri corpi celesti che gli ruotavano attorno veloci e molto vicini. I suoi abitanti mutavano stato d’animo in base ai vari colori che si succedevano. Ecco, è questo il genere da cui sono attratto maggiormente. Quell’anno, il 1982, ero rimasto inoltre estremamente colpito da Blade Runner. Non mancavano in me gli interessi per le macchine, la tecnica… insomma, a un certo punto si è mescolato tutto».
Questi riferimenti e le atmosfere entravano anche negli spettacoli teatrali di quegli anni?
«Sì, dal 1981 in poi. Come regista sono andato un po’ a periodi: precedentemente avevo lavorato molto con la poesia, mettendo in scena per esempio I Masnadieri di Friedrich Schiller, quindi un classico, anche se lo facevo a modo mio. In seguito è iniziato il mio periodo post-moderno, proprio con Estasi fisico magnetica, il cui sottotitolo recitava «Scene da quattro foto di moda». Oltre le ispirazioni dalla fantascienza letteraria, ciò che mi guidava, apparteneva a un altro mondo, ovvero a quello del movimento del design italiano, da Andrea Branzi allo studio Alchimia, fino alle foto delle grandi riviste di moda. I paesaggi che ne Il teppista sono citati in tanti modi diversi derivano da qui e dal mio amore sviscerato dello stare dentro la natura. Un’altra suggestione arriva dal pittore David Hockney, con la sua superficie delle piscine (i dipinti Bigger splash e Small splash). Avevo quindi iniziato a lavorare in teatro abbandonando la profondità della drammaturgia classica per confrontarmi con il fascino della superficie, che per me nascondeva la profondità, assolutamente presente, sebbene misteriosa».
È curioso come tutte le tue suggestioni siano visive: come si traducono alla radio?
«Io ero consapevole e sicuro di quello che volevo fare, ovvero una radio che fosse cinema. In altre parole desideravo che il suono divenisse visione ed è per questo che ci sono tanti racconti di paesaggi e ambientazioni. Lo scenario visivo è per me fondamentale e così lo è stato anche in Oltre Plutone. Un aspetto che vale anche per gli spettacoli di teatro: per me l’attore è importante, ma a essere davvero essenziale è la scenografia, visiva e in movimento. Spesso era come se ci fossero foto proiettate, in cui l’interprete si immergeva, è accaduto nel Macbeth, ma anche in Ezra Pound in un quadro di Giotto, come suggerisce il titolo. Anche ne Il teppista stellare, quello che volevo era riuscire a creare una simbiosi tra il personaggio e gli ambienti, perlopiù esterni. I momenti di nostalgia della terra, per esempio, sono diventati proiezioni di immagini immobili, cioè fotografie. Queste venivano descritte attraverso dei monologhi, come se stesse leggendo delle didascalie. Io volevo quindi una radio che fosse altamente visionaria».
Come hai lavorato tecnicamente al progetto e come è avvenuta la creazione?
«Le modalità di lavoro e ideazione sono state molto diverse rispetto a quel che era la norma fino ad allora. Innanzitutto non ho presentato nessun testo preliminare: la scrittura del racconto è avvenuta man mano, prima a partire dall’elaborazione di una serie di idee che sono andate a costruire la storia nel suo complesso e le ambientazioni; successivamente si son formati i dialoghi e i monologhi del teppista. Alla stesura del testo mi hanno aiutato alcuni miei collaboratori, tra i quali il critico musicale, un vero visionario, Alessandro Calovolo. A lui ho chiesto di suggerirmi musiche e suoni. Ne proponeva alcuni e io li provavo con la mia recitazione, cercando di capire quelli che più si adattavano al parlato e alla situazione. Volevo riuscire a creare una specie di simbiosi tra musica e recitato. Ad Alessandro inoltre raccontavo le varie puntate e leggevo quel che avevo scritto, in modo tale che lui potesse prendere qualche pezzo di storia e abbozzarne una parte, in base a cosa gli veniva in mente. Da qui rielaboravo il materiale: il canovaccio di ogni puntata era già preparato prima, anche con sezioni di testo molto strutturate. La costruzione del copione è stata altrettanto innovativa per quel tempo, molto simile alla pratica cinematografica, andando a condizionare l’intero lavoro. Mara Mavaracchio (detta Nanà), che allora dirigeva il centro di Radio Rai di Torino, mi aveva fatto avere il copione della puntata di Guerre Stellari in versione radiofonica, presentata al Premio Italia: ne son rimasto sbalordito, perché come attore non mi ero mai confrontato con una struttura simile. Si trattava di un foglio largo almeno un metro, suddiviso in una serie di colonne: nella prima c’era il testo; nella seconda i suoni da mettere in rapporto alle parole che scorrevano; nella terza le musiche e così via. Su questa traccia ho allora costruito anche il mio copione e ciò ha comportato anche un diverso modo di produrre la puntata: non si registravano voci e suoni separatamente come da tradizione, ma tutto insieme e dal vivo. Io recitavo e contemporaneamente Andrea Costa e Mauro Tavella inserivano i suoni e gli effetti, che se ne Il teppista stellare sono molto semplici, già in Oltre Plutone appaiono più complessi. Nel frattempo il tecnico studiava la voce al microfono tramite internal machine, una delle primissime strumentazioni di distorsione vocale, di cui la Rai si è dotata proprio in questa occasione. La recitazione avveniva con le cuffie e la musica messa in nastro in live. La puntata quindi, una volta registrata, era già composta, bastava rifinirla. Si può dire che sia stata una vera e propria rivoluzione nella produzione radiofonica di quegli anni».
È molto interessante, perché quello che stiamo indagando a Turn on your ears è proprio l’incontro tra la pratica radiofonica e quella teatrale. Questa modalità di registrazione che ci hai raccontato, in cui un ensemble registra insieme dal vivo in uno stesso spazio tempo, sembra proprio rappresentare l’intersezione tra le due arti. Guardando alla recitazione, invece, come ragionavate rispetto al teatro, ci sono delle modalità differenti?
«L’attore è un maestro del tempo, sia in radio sia in palcoscenico, ma la recitazione teatrale ha modulazioni e ritmi molto diversi. La radio è più vicina al cinema: sebbene registrassimo tutti insieme, lo si faceva per scene e pezzetti, non dall’inizio alla fine. In altre parole, non c’è la sequenza e non è mai un continuum come in teatro. La radio in questo senso è una sublime liberazione psicologica: conclusa la scena, butti via i fogli ed è fatta, non ci pensi più. Un’altra importante differenza sono i piani che con il microfono puoi ricreare: avvicinando, allontanando o spostando di lato la bocca, la voce cambia. In teatro, anche se usi i soffiati, ci si trova a timbrare la recitazione. Se penso a come stavo dietro a un microfono, mi rendo conto che le mie interpretazioni, sebbene con un approccio differente per i motivi appena detti, non erano poi così lontane dal mio modo di stare in scena. Qualcuno mi diceva “ma perché ti muovi e ti agiti così, nessuno ti vede, siamo alla radio!”».
Come si pensa la narrazione per la radio rispetto al teatro dal momento che lo spettatore è assente e la fruizione avviene perlopiù in solitaria? C’è un approccio diverso rispetto al teatro nei termini di ideazione di un racconto da tradurre per la scena invisibile?
«La radio ha una potenza espressiva superiore al teatro: il teatro in definitiva è fermo, mentre la radio si muove in continuazione, è davvero come il cinema. Può avere anche solo la parola, ma resta di un fascino straordinario. Ricordo che a cinque anni, in casa mia si ascoltava la radio e mi era capitato di restare affascinato dai drammi di Shakespeare, soltanto recitati e con pochissimo suono. Quel che ho cercato di fare ne Il teppista stellare è stato di condurre l’ascoltatore all’interno di una serie di immagini. La drammaturgia infatti è molto descrittiva, sono di fatto didascalie recitate, un aspetto che ho portato anche in molti miei spettacoli teatrali. Di fatto si tratta di un racconto in cui l’attore recita con pathos e sentimento drammaturgici quel che nel testo non sono altro che descrizioni. Il punto di vista però a un certo punto scompare, per lasciare spazio alla sola immagine. Per esempio, nel monologo sulla città piena di scimmie della prima puntata, il teppista comincia con «vedo questa città…» per poi proseguire la descrizione interrompendo ogni riferimento all’Io: il personaggio allora non c’è più, resta solo una voce che racconta. Resta un ambiente, un’immagine».
Il teppista stellare – Avventure in disgelo, di Valeriano Gialli. Episodio 1
Valeriano Gialli attore e regista teatrale di origini fiorentine, ma cresciuto a Genova, dove durante il liceo frequenta la scuola di recitazione del Teatro Stabile. Negli anni di formazione incontra il regista Carlo Quartucci, che lo fa debuttare giovanissimo con Leo de Berardinis, Rino Sudano e Claudio Remondi. Negli stessi anni incontra Aldo Trionfo, altro suo grande maestro. Numerosi i suoi recital dedicati alla poesia e le sue partecipazioni come attore ai radiodrammi registrati negli studi di Torino della Rai dal 1974 al 1995. Nel 1979 fonda con Giorgio Lanza e Nadia Ferrero la compagnia Teatro U!, agendo nel Teatro degli Infernotti dell’Unione culturale, nei sotterranei di Palazzo Carignano. In questi spazi cura insieme al critico Giuseppe Bartolucci una rassegna di teatro d’avanguardia e nel 1983 in Valle d’Aosta la rassegna Paesaggi mondani, portando le esperienze del Nuovo Teatro in luoghi selvaggi e naturali. Per i programmi sperimentali di Radio Rai realizza come autore e regista due serial di fantascienza: Il teppista stellare (13 puntate, 1982) e Oltre Plutone (13 puntate, 1983). Nel 1993 fonda la compagnia Envers Teatro e nel 1996 è direttore artistico del festival Asti Teatro. Dal 2000 al 2011 ha curato per il Comune di Aosta la rassegna di spettacoli di teatro e danza Scenario Sensibile. Nel 2013 dà vita insieme a Paola Corti alla compagnia Teatro del Mondo, della quale entrambi sono direttori artistici. Debutta in prima nazionale al festival Asti Teatro 2014 con la regia dello spettacolo il Re del Plagio di Jan Fabre.
Messaggi dal futuro
di Radio Papesse
Il 4 ottobre 2015 esce il primo episodio di The Message.
Nella mitopoiesi del podcast ci si concentra spesso sull’anno prima, il 2014, quando This American Life, uno degli show radiofonici più ascoltati d’America, presenta Serial, una serie podcast che sarebbe presto diventata LA serie più citata, conosciuta e riverita, la lancetta che segna un prima e un dopo nella storia della rinascita del podcasting. Come dire Atena (Serial) che nasce dalla testa del padre Zeus (This American Life), ovvero l’Olimpo della narrazione audio.
Ma torniamo al 2015. General Electric lancia una serie in otto episodi prodotta in collaborazione con la rete Panoply (che oggi non esiste più). È uno dei primi branded podcast, ma soprattutto è fantascienza, è un’indagine avvincente, è il futuro che fa l’occhiolino al passato del medium radiofonico. La storia? Un gruppo di crittografi cerca di decodificare un messaggio alieno trasmesso 70 anni prima, utilizzando una reale tecnologia a ultrasuoni sviluppata da General Electric. A raccontarne le vicende e vicissitudini, la podcaster Nicky Tomalin nel suo podcast Cyphercast. Insomma, è un meta-podcast, una narrazione diegetica che contribuisce a un’esperienza di ascolto in cui verità e verosimiglianza si confondono. Il dubbio tra finzione e iper-realtà si concretizza online dove su LinkedIn, ancora oggi, si trova il profilo di una certa Nicole Tomalin, detta Nicky, dipendente della Chicagoland Radio and Media company e voce di un podcast su linguistica e linguaggio umano…
In The Message il messaggio da decifrare è una trasmissione ricevuta da una base militare nelle Hawaii durante la seconda guerra mondiale. Si ritiene che sia di origine extraterrestre e che ascoltarlo provochi effetti inaspettati… La serie è ancora online, e non possiamo svelare troppo, è pur sempre la storia di un classified file e non è la trama in sé che qui ci interessa. Ci vogliamo piuttosto soffermare sulle intenzioni di General Electric e gli ammiccamenti al suo passato, perché ci porteranno a un’altra tappa saliente nella storia delle fiction audio.
The Message è prodotto dalla General Electric Podcast Theatre, una divisione interna risuscitata per omaggiare e ricordare la General Electric Theatre, una serie antologica americana sponsorizzata da GE e trasmessa in radio nel 1953 e poi in televisione, sulla CBS tra il ‘53 e il ‘62. Condotta da Ronald Reagan e andata in onda per oltre duecento puntate, presentava adattamenti da romanzi, opere teatrali, film, racconti…
Nonostante lingua, suono e tematiche affrontate in filigrana siano del tutto moderne, The Message è una miscela bilanciata di media tradizionali e nuovi media, che rivitalizza il formato del radio play, ma lo fa per il pubblico dei podcast, per una generazione che ha altri canali e mezzi per partecipare, oltre all’ascolto. Come ricorda David Sims su “The Atlantic”, The Message ha ispirato migliaia di fan a perdersi in congetture e teorie più ampie su Reddit, solo per fare un esempio.
Un altro teatro alla radio che ha segnato la storia del medium, un’altra trasmissione di adattamenti (e un’altra storia di fantascienza che ha sollevato altrettanto partecipi reazioni del pubblico) è il Mercury Theatre on the Air, uno show radiofonico curato da Orson Welles, andato in onda da luglio a dicembre 1938, prima di cambiare nome in The Campbell Playhouse. (I Campbell erano quelli delle zuppe e non tardarono a cavalcare l’onda del successo del programma, dopo che a fine ottobre, Welles mise in scena l’attacco alieno più celebre della storia). All’epoca dei fatti Welles non è ancora il regista di Hollywood. Dirige una compagnia teatrale di New York e in ogni puntata trasmessa dalla CBC, riadatta dei romanzi molto popolari. La puntata del 30 ottobre è dedicata a La guerra dei mondi, uno dei primi romanzi di fantascienza, pubblicato a puntate nel 1897 per mano di Herbert George Wells.
Il panico scatenato dal fittizio attacco alieno è ormai parte della storia e del mito (e come ogni mito è in parte gonfiato) ma nulla di tutto questo sarebbe accaduto senza la costruzione sapiente dell’attesa: gli ascoltatori del Mercury Theatre on the Air sono abituati alla fiction, conoscono il formato dello show. La geniale trovata di Welles sta nell’intrecciare il ritmo sincopato della cronaca – l’avvistamento e il ritrovamento di un’enorme meteora – alla programmazione musicale standard della rete e alla voce di esperti chiamati a commentare. Fino alla rivelazione. Non è una meteora… sono alieni.
Così come il genere fantascientifico spesso complica e arzigogola il tempo lineare della storia, così il podcast alimenta sovrapposizioni e ripescaggi temporali di generi e linguaggi, ospitando immaginari passati e facendoli convivere con le regole di un medium e di un pubblico in veloce cambiamento.
I consigli d’ascolto di Radio Papesse
In tema di messaggi cifrati, di tecnologie di trasmissione e di voci che arrivano e tornano da altri mondi spazio-temporali, vi consigliamo tre storie audio di fantascienza, tre esempi rinfrescanti di un rinnovato approccio all’audio fiction e che uniscono inedite trame, attenta scrittura, sapienti e straordinarie orchestrazioni sonore, in equilibrio tra sperimentazione sonora e coinvolgenti plot narrativi:
Akiha Den Den
di Neil Cargill con il sound design di Simon James Serie in 6 episodi
Una voce misteriosa si infiltra nella banda radio di un radio amatore. Si chiama Joy ed è intrappolata in un parco divertimenti abbandonato, chiamato Akiha Den Den. Ascoltando le voci che provengono da questo mondo parallelo, il radioamatore lo scopre popolato da sbandati, cani sciolti, da festaioli intrappolati: un’intera comunità che cerca un contatto e invia una richiesta di aiuto.
Life Chronicle of Dorothea Iesj S.P.U
di Almare
Life Chronicles indaga il legame tra capitalismo dei dati, suono e creazione di valore e riflette sull’uso di reperti “archeologici” come strumento di potere. La trama trae spunto dalle teorie pseudo-scientifiche sviluppate nell’800 in seno alla nascente archeoacustica che, all’epoca, ipotizzava la possibilità di rintracciare registrazioni di fenomeni acustici del passato rimaste “incise” nella materia.
La trilogia, di cui è disponibile per ora solo il primo episodio, è ambientata in un futuro prossimo in cui i suoni possono essere estratti da qualunque superficie tramite uno scanner quantistico chiamato E.C.H.O. Nel primo episodio, la ricercatrice di archeoacustica Dorothea Ïesj racconta le sue attività di contrabbando di antichi audio-reperti. Nel mondo di Dorothea, ogni oggetto è un potenziale microfono e il suono diventa una moneta immateriale il cui valore fluttua a seconda del messaggio “estratto”.
Vagues de chaleur
di Charo Calvo
Phalena – una creatura del futuro e membro di una civiltà sotterranea – scopre un documentario sonoro registrato su delle cassette audio. Proviene dai giorni nostri. Phalena, un essere i cui confini non sono più quelli del corpo umano così come lo conosciamo noi oggi, è sorpresa di sentire delle donne che parlano di menopausa, gravidanza, amore, ecofemminismo, cambiamento climatico… Ispirata da loro, decide di registrare un messaggio per la superficie. Vagues de chaleur è un’opera che intreccia fantascienza e prospettive femministe, che immagina futuri possibili e altri, allontanandosi dalle distopie tecnologiche tipiche del genere fantascientifico.
Radio Papesse è un progetto radiofonico curato da Ilaria Gadenz e Carola Haupt nato nel 2006 all’interno del Palazzo delle Papesse di Siena. Radio Papesse è stata la prima web radio dedicata all’arte contemporanea in Italia, con programmi d’informazione culturale e un’attenzione rivolta a tutte le espressioni sonore del contemporaneo. Da qui nasce radiopapesse.org, un archivio dedicato alla produzione, promozione e diffusione sonora sperimentale. Negli ultimi 16 anni Radio Papesse ha prodotto e commissionato lavori sonori, invitando artisti, producers e DJ a scardinare le regole dello storytelling radiofonico. Adotta la Licenza Creative Commons e fa parte del network RADIA. Tra il 2018 e 2020 è stata tra i ricercatori associati a Pratiques d’Hospitalité – Platform for critical research and political imagination. È membro del comitato scientifico del Centro di Ricerca Interdipartimentale per la Radiofonia di UNIRSM. Tra i progetti e le collaborazioni recenti, LUCIA | La Radio al Cinema, 2019-2022; Plotting the Urban Body Firenze di Maria Pecchioli, 2020; Hospitalité des ambiances sonores et des pratiques acoustiques con Pratiques d’Hospitalite? – ESAD Grenoble • Valence, 2018-2020; Children of Unquiet di Mikhail Karikis, 2012-2014; Süden Radio (2013); Nuovi Paesaggi con Lucia Farinati e Viv Corringham, Mikhail Karikis, Laura Malacart, Davide Tidoni e Allen S. Weiss, 2012; La Radio a Pedali, 2011.
Per altri viaggi nello spazio, Altre Velocità consiglia:
Ascolti:
Welcome to Night Vale – uno dei podcast sci-fi di maggior successo negli USA, affiancato da spin-off, libri e live show. Un programma di aggiornamenti bimestrali della comunità per la piccola città desertica di Night Vale, dove ogni teoria cospirativa è vera.
L’ultima stazione – da una stazione di servizio ai bordi dell’universo, nella solitudine dei confini galattici, nasce una radio che racconta gli avvenimenti dell’universo. Piacevole e adatto anche a un pubblico di giovanissimi.
Calls – conversazioni telefoniche da realtà parallele, da altri tempi, perturbanti. Una serie in 10 episodi, da ascoltare (ma anche da vedere).
Letture:
Guida galattica per autostoppisti di Douglas Adams, adattamento in forma di romanzo dell’omonima serie radiofonica scritta dallo stesso Adams e andata in onda nel 1978 su BBC Radio 4.
AF – Altre frequenze è una delle azioni di Turn on your ears, progetto a cura di Altre Velocità, sostenuto dalla Regione Emilia-Romagna, dal Comune di Bologna e dal Ministero della Cultura.
Gli autori
-
Laureata in Dams e in Italianistica, si occupa di giornalismo e cura progetti di studio sul rapporto tra audio, radio e teatro. Ha collaborato con Radio Città Fujiko ed è audio editor per radio e associazioni. Nel 2018 ha vinto il bando di ricerca Biennale ASAC e nel 2020 ha co-curato il radio-documentario "La scena invisibile - Franco Visioli" per RSI.
-
Critico teatrale, è tra i fondatori di Altre Velocità e collabora con la rivista Gli Asini. Dal 2004 conduce una rubrica radiofonica di attualità teatrale su Rete Toscana Classica. Ha curato svariate pubblicazioni nell'ambito del teatro ed è stato codirettore del Festival di Santarcangelo per il triennio 2012-2014 e presidente dell'Associazione Teatrale Pistoiese.