Andare incontro al pericolo che negli spazi urbani a un tratto non circoli più aria. Gli appartamenti sono minuscoli abitacoli e le strade traboccanti si restringono, l’aria si fa asfissiante e quasi non si percepisce più. Quando camminiamo sgomitiamo a fatica per farci largo, acceleriamo il passo e proviamo a dare aria al nostro corpo, a costo di urtare, per raggiungere zone sgombre in cui riprendere fiato.
A volte può accadere, però, che sia la musica a esaurire e risucchiare l’intera atmosfera propria di un luogo fino ad assorbirla interamente nel suono martellante e incalzante rendendo il nostro respiro spezzato e l’aria intorno ferma. È il caso dei due progetti musicali Mondoriviera e Blak Saagan, il primo un solo musicale di Lorenzo Camera dal carattere post-elettronico lo-fi il secondo, invece, un trio composto da Laura Campana al basso, Alessandra Lazzarini ai synths e al flauto e Samuele Gottardello alle tastiere, che si sono esibiti ieri nel corso della sesta serata del festival Ipercorpo. I lavori sono due veri e propri sprofondamenti, che divorano, rimaneggiano e riscrivono l’aria immobile del fuori fino a movimentarla e offrirle una nuova oscillazione, un nuovo senso. Il viaggio fantastico di un mutante e la vicenda del rapimento Moro sono restituiti sotto forma di un sonoro avvolgente e di ambienti ricreati sulle proiezioni video attraverso l’animazione tridimensionale o l’accoppiamento di singole parole e primissimi piani in bianco e nero.
E proprio attorno alla parola aria Davide Ferri ha costruito un’architettura molto sottile di opere che invade, durante tutte le giornate di Ipercorpo, i locali del festival e che intercetta la pittura, l’installazione e l’opera scultorea. Le materie di Samorì, Botta, Meoni, Tocca, Morgantin e Tappi s’impastano con l’aria di Forlì, ponendosi a un’altezza diversa da quella degli osservatori e indirizzandosi verso altri cieli oppure esponendosi a una temperatura artificiale, come nel caso della ventilazione elettronica nell’opera Grecale, o a un ossigeno del passato, quello presente nei vecchi uffici e magazzini dell’ex-autorimessa, dove trovano posto le tele di altri due artisti. Anche in quelle strette stanze di lavoro circola ancora un’aria, a cui i forlivesi possono aspirare.
Due stanze adiacenti e dalle pareti scrostate accolgono le opere di Beatrice Meoni e Michele Tocca, presentate ieri pomeriggio. Entrando in questi locali, la sensazione è che le tavole siano immerse in un perfetto contesto e che abbiano in comune con quei muri una fragilità di cui il tempo non si cura. Anzi, proprio il tempo sembra fare da padrone a quella fragilità architettonica. Nella prima stanza, la serie di opere di Beatrice Meoni dal titolo “Cadute”, può suggerirci che l’indagine di questa artista, forse, è cominciata proprio da un’esperienza traumatica personale. Osserviamo dei corpi che ci sembrano in balia del tempo, sospesi tra l’aria e la terra prima che quest’ultima li accolga. Eppure nel segno compare una leggerezza quasi eterea, come se quelle figure possano spiccare il volo. Ci sembra di percepire questa medesima leggerezza quando ascoltiamo la viva voce di Beatrice durante l’incontro col pubblico. Attraverso un racconto molto intimo spiega la sua personale caduta, quella di un corpo adulto, consapevole della forza che ci vuole per rialzarsi e della convalescenza che le ha permesso di ripensare agli infiniti modi in cui si può cadere. Tra il pubblico c’è anche un ragazzino, che si aggira spaesato tra le tavole esposte. Ci fa tornare in mente tutte le cadute e le ginocchia sbucciate della nostra infanzia ritornando col pensiero al tempo passato. E, proprio al tempo, si legano le opere di Michele Tocca. I lavori che ha scelto di presentare sono una serie di ritratti dello stesso paesaggio osservato attraverso la finestra della cucina di casa di sua madre. Da lì, a Subiaco, si vedono i monti Simbruini, immobili, immutevoli: è un’ambientazione che non cambia mai e che si ripete in tutte le tele che ha scelto di portare a Ipercorpo. Eppure il monte sullo sfondo risulta velato e filtrato. Avvicinandosi, si notano impronte di dita, piccole gocce di colore che colano verso il basso. Si tratta della condensa che ogni mattina si posa sulla finestra – rivela Michele Tocca durante l’incontro. Così siamo di fronte a un’immagine sempre uguale ma diversa, in cui le forme che i vapori assumono cambiano ogni giorno, così come la luce. La varietà e le differenze tra le tavole si svelano generando una continua sorpresa nello stesso soggetto dipinto. Il suo studio, allora, non è teso alla ricerca di una formalità perfetta o una replica fedele, ma è tutto incentrato sulla durata dell’osservazione e dell’agire poi con i colori. Oppure, come dice lo stesso autore, l’indagine si concentra sull’inseguimento di eventi effimeri. Una vera sfida contro il tempo.
Ieri, prima della presentazione di queste opere, abbiamo intercettato Davide Ferri negli uffici di EXATR, che ci offre tantissimi spunti per comprendere le scelte con le quali ha dato vita quest’anno alla sezione arte del festival, componendo una vera e propria partitura di opere che raggiungerà la sua forma finale soltanto nell’ultima giornata con la presentazione al pubblico del lavoro di Tappi. Restituiamo soltanto una parte dei discorsi di Ferri attraverso questo frammento sonoro.
Questo articolo fa parte dello “Speciale Ipercorpo 2022“