Due introduzioni piuttosto importanti, che non sembrano però risolvere un problema molto più complesso, che ha a che fare con l’attenzione che la politica odierna rivolge al mondo della cultura. Diverse persone hanno infatti preso la parola in merito alla novità del DM che, pur essendo positiva, non fa davvero la differenza per la vita di artisti/e e compagnie: la percezione è infatti le persone giovani vengano coinvolte dalle grandi istituzioni teatrali solo nel momento del bisogno, cioè quando per ottenere fondi occorre dimostrare la loro partecipazione dei/delle giovani nelle attività delle strutture. È emersa fortemente la questione del sentirsi sfruttati, usati e poi riportati alla condizione di partenza.
Francesca D’Ippolito apre l’incontro ricordando quanto la domanda ministeriale (che si è chiusa il 18 febbraio scorso) impatti non solo su chi è finanziato, ma soprattutto su chi non lo è, pur essendo parte del sistema. Nei mesi scorsi, continua la presidente, C.Re.S.Co ha portato avanti una difficile interlocuzione politica, ma la rete non è stata coinvolta nella discussione sul prossimo DM triennale 2025/2027: la seconda convocazione che doveva seguire ai tavoli di lavoro dello scorso luglio, non è mai arrivata, pertanto i politici hanno interloquito sul nuovo testo di legge con un’unica controparte, l’AGIS (QUI la lettera aperta di C.Re.S.Co. sul DM triennale 2025-2027). Nonostante ciò la rete ha continuato a instillare questioni, tra cui l’importanza di valorizzare (perché era scomparso come indicatore) le giornate lavorative di artisti/e e personale tecnico e organizzativo under 35. Francesca D’ippolito dà avvio al dibattito ricordando che l’incontro nasce dal desiderio di coinvolgere soggetti alle prime esperienze produttive per raccogliere le voci anche di chi non è ancora parte della rete, per aprire un confronto intorno al nuovo DM, sul quale C.Re.S.Co si sta ancora interrogando, per poi capire in quale direzione lavorare per farsi portavoce delle esigenze emerse. Un Decreto, tra l’altro, presentato con 176 giorni di ritardo rispetto al 2014 e questo probabilmente per due ragioni, come afferma Franco D’Ippolito in un’intervista di Alessandro Toppi su Teatro e Critica: «Da una parte l’impreparazione dei politici, che hanno sottovalutato complessità e bisogni del settore […] Ma, dall’altra parte, c’è la seconda debolezza cui accennavo: quella di un settore rimasto quasi per intero muto e in attesa, avendo scarsa possibilità di far sentire il proprio peso, le proprie esigenze. Ci siamo trovati quindi con un D.M. emanato con mesi di ritardo, progetti triennali da ideare e presentare in trenta giorni e una modulistica di cui si continuano quotidianamente a correggere errori e imprecisioni, contraddizioni e refusi».
Cesare D’Arco, fondatore di Theatron 2.0 prende la parola per spiegare che l’incontro si articolerà attorno a 14 domande definite a partire dalla lettura di due testi: il volume edito da Franco Angeli, Spettacolo dal vivo: nuovi autori per nuovi pubblici. Stato dell’arte e prospettive di sistema, a cura di Donatella Ferrante e Francesca Velani e la tesi di laurea di Carmelo Crisafulli Emergenti: un’indagine sulla scena teatrale under 35 in Italia, un lavoro in cui sono presenti anche i dati emersi da un questionario somministrato a compagnie under 35. D’Arco ricorda infine che l’incontro è stato immaginato anche insieme a Risonanze, un network nazionale attivo dal 2018 che si occupa di ricambio generazionale non solo sul versante artistico, ma anche dei pubblici e che con C.Re.S.Co ha già attivato negli ultimi anni riflessioni sul tema del ricambio generazionale, da non intendersi, sottolinea D’Arco a chiusura del suo intervento, come “rottamazione” delle precedenti generazioni, dal momento che è necessario un sano dialogo intergenerazionale, né tanto meno ci si riferisce unicamente agli under 35, ma a tutti i lavoratori e le lavoratrici dello spettacolo, artisti/e e compagnie alle prime esperienze produttive, ma anche a quanti, pur avendo un percorso più lungo e articolato alle spalle, faticano ancora a consolidarlo.
Come ti rapporti al concetto di under 35? Per te è sufficiente e necessario fare riferimento a questo limite anagrafico oppure credi che si possa reinterpretare questa categoria?
Prende subito la parola Alessandro Di Murro, regista del Gruppo della Creta e co-direttore del Teatro Basilica di Roma, per mettere sul tavolo una serie di questioni relative al significato della definizione di under 35, che per lui e i suoi collaboratori è stata molto utile negli anni per accedere a progetti e finanziamenti e nella quale a breve non rientreranno più. A che cosa serve questa definizione? A lanciare una compagnia? Ad avere finanziamenti in un momento di difficoltà? Ha a che fare con la questione della formazione di artisti o strutture? Che cosa succede tra i 20 e 35 anni? Giovani artisti/e e compagnie hanno le competenze per accedere alla richiesta di finanziamenti? Quando si superano i 35 anni si è quindi più formati, o più autonomi? E se sì questa crescita è uguale per tutti? Perché, insomma, si sceglie di parlare di under 35? Qual è l’obiettivo?
Si tratta di domande fondamentali, che iniziano a innescare le prime riflessioni.
Alba Maria Porto dell’Associazione Asterlizze sottolinea l’ambiguità di una definizione che se da una parte permette di crescere e strutturarsi grazie alla possibilità di un sostegno economico, dall’altra crea dei vincoli. Le imprese di produzione under 35, per esempio, per rispondere alle richieste del decreto sono costrette a coinvolgere solamente soggetti che rientrano nella definizione di under 35, privandosi della possibilità di rivolgersi a personalità con un percorso più strutturato alle spalle. Inoltre non sembra esistere un vero accompagnamento che stimoli artisti e artiste nella strutturazione di una propria poetica e l’utilizzo di questa categoria tende piuttosto a innescare una corsa contro il tempo per riuscire entro una certa età a far fruttare tutte le possibilità offerte, proprio perché dopo non ce ne saranno più, o almeno non negli stessi termini.
Francesca D’Ippolito chiede l’intervento di quanti abbiano eventualmente incontrato altre possibilità di sostegno oltre ai finanziamenti ministeriali e se e come questi soggetti cambierebbero la definizione under 35 (Emergenti? Indipendenti? In quale abito si sentono più comodi?), dal momento che esiste una confusione semantica importante nel DM.
Quali sono le loro proposte?
Prende la parola Alessandro Balestrieri di BALT, un collettivo non strutturato che si appoggia da un paio d’anni al Teatro della Caduta. Balestrieri riporta la propria esperienza sottolineando che non ha avuto, da under 35, sostegno da strutture ministeriali, ma ha potuto contare invece sulle possibilità offerte da un territorio come quello della provincia di Latina in cui, pur non essendoci fondi per la cultura dal momento che la capitale assorbe la maggior parte delle risorse, ha usufruito gratuitamente di spazi; sono state per lui fondamentali anche esperienze come Direction Under 30 del Teatro Sociale Gualtieri, un concorso e un festival di spettacoli di compagnie under 30, selezionati, discussi e premiati da spettatori under 30 e Dominio Pubblico a Roma di Teatro dell’Orologio e Teatro Argot Studio, un progetto di audience development e community engagement rivolto a under 25 e finalizzato alla conoscenza della scena contemporanea e alla produzione, promozione e organizzazione di un festival multidisciplinare. Balestrieri afferma la necessità di definizioni meno escludenti, perché dopo i 35 anni, privi di qualsiasi sostegno, la vita artistica è ancora più difficile da sostenere.
Giacomo Lilliù di Pallaksch introduce una questione importante in merito alle ambiguità generate dalla definizione di under 35 rispetto alla differenza tra artista o compagnia e impresa di produzione. Nel primo caso è necessario sostanziarsi come soggetto under 35, nel secondo è richiesto un progetto artistico. Si tratta di due prospettive diverse: l’impresa di produzione è autonoma, soggettivizzata, con una responsabilità economica che ad una compagnia non è richiesta, deve proporre qualità artistica e avere un apparato burocratico forte. L’artista o la compagnia dal canto suo crea un progetto e spera che possa crescere e trovare apprezzamento.
Massimo, 27 anni, attore, ritiene che l’età non sia l’unico fattore da valutare quando si parla di accesso a finanziamenti e opportunità. Il paradosso della definizione under 35 starebbe nel fatto che normalmente, quando si è più giovani, si affrontano meno problemi pratici, è più facile ricevere un supporto, anche da parte delle famiglie, e si è più flessibili. Inoltre sarebbe necessario differenziare quanti necessitano di sostegno economico da chi invece avrebbe bisogno piuttosto di strumenti per crescere.
Quanto pesa nella tua esperienza, passata e presente, il lavoro gratuito?
Francesca Merli, che insieme a Laura Serena si occupa della direzione artistica e dell’organizzazione del Festival di Teatro Contemporaneo GEA – Gioiosaetamorosa di Treviso, racconta della difficoltà di venire retribuiti per l’ideazione della regia, sollevando un problema importante che ritornerà negli interventi successivi, vale a dire la tendenza a non tenere in considerazione, dal punto di vista economico, delle attività che non solo richiedono ore di lavoro, ma comportano anche una serie di responsabilità dal punto di vista artistico, organizzativo e imprenditoriale. Quali provvedimenti per attribuire un valore economico anche a un’attività che non rientra nelle famose giornate retribuite?
Andrea Martelli, giovane organizzatore teatrale e curatore, si fa portavoce del grande problema del lavoro gratuito legato alle nuove generazioni. Le realtà emergenti in particolare per riuscire ad accumulare esperienze si trovano di fronte a un dilemma: abbandonare l’idea di essere retribuiti mentre si sostiene un percorso di apprendimento o rinunciare a un’esperienza formativa? Il problema dei finanziamenti, però, conclude Martelli, spesso è sistemico e in qualche caso le disponibilità economiche sono davvero assenti per un certo tipo di enti e istituzioni. Il solito cane che si morde la coda.
Piero Lanzellotti della compagnia Lenti al Contatto aggiunge con una provocazione che il lavoro pagato esiste, ma è pagato da chi lavora. I bandi spesso chiedono esclusività e non coprono le spese che artisti/e e compagnie hanno bisogno di sostenere per partecipare al bando stesso (per esempio i costi di trasferimento e permanenza in un luogo).
Quali strategie hai adottato per garantire la sostenibilità economica del tuo percorso formativo, artistico oppure della tua compagnia?
Francesca D’Ippolito suggerisce che le strategie che adottiamo dipendono dai contesti in cui operiamo e quindi dalla presenza o meno sul territorio di fondazioni bancarie, una filiera dello spettacolo, Tric, centri di residenza, circuiti, Teatri delle Città, per fare degli esempi, e chiede dunque ai presenti di provare a mettere in evidenza quanto siano in dialogo con il loro contesto di riferimento, accogliente o respingente, e se siano riusciti a garantirsi una sostenibilità economica.
In alcuni casi emerge un dato piuttosto allarmante legato alla possibilità da parte delle compagnie di ricevere da imprese di produzione o enti teatrali un documento come il modello C1. Si tratta di una pratica che molti dicono di essere costretti ad accettare per rispondere a una volontà politica che mette alle strette i soggetti, obbligati a rispondere a determinate richieste.
Riporto un momento di scambio tra una delle artiste presenti all’incontro e Francesca D’Ippolito, importante per comprendere la posizione di C.Re.S.Co e il tipo di conoscenze che intende trasmettere alle realtà emergenti. L’attrice si chiede quale sia il senso della definizione under 35, che sembra a volte solamente un’elemosina nei confronti di chi avrebbe bisogno di ben altro tipo di sostegno. Non importa dunque chi sei e cosa fai, ma solo se rientri in un parametro. È lo stesso principio delle “quote rosa”, conclude.
L’intervento accorato di Francesca D’Ippolito fa luce su una questione fondamentale: purtroppo non è scontato che compaia all’interno del DM un parametro che porti l’attenzione sugli under 35 o sull’equilibrio di genere. È sicuramente imbarazzante la necessità di introdurre una clausola con un certo tipo di dicitura per ovviare a una grave mancanza, ma quella stessa clausola è stata introdotta solo grazie a delle realtà di rappresentanza che sono riuscite a sedersi ai tavoli di discussione, tavoli presenziati prevalentemente da uomini over 50. In una società in cui l’associazione di promozione sociale Amleta, nata con lo scopo di contrastare la disparità e la violenza di genere nel mondo dello spettacolo, condivide dei dati che rivelano l’assenza completa di donne all’interno della direzione di Teatri Nazionali e Tric, diventa fondamentale stare all’erta e difendere continuamente i propri diritti. Un altro gravissimo avvenimento è la scomparsa nel DM della parola “rischio culturale”. Questo dimostra quanto sia fondamentale non dare nulla per scontato, conclude D’Ippolito, che riporta la discussione alla domanda iniziale: in un sistema a dir poco claudicante, qual è stata l’eventuale strategia virtuosa trovata dai presenti?
Giacomo Lilliù di Pallaksch racconta della scelta di non presentarsi come nucleo artistico troppo costante in tutte le produzioni, ma di provare a curare la produzione, la circuitazione e soprattutto il progetto artistico e la competenza burocratica e amministrativa di vari nuclei artistici under 35. È fondamentale, continua Lilliù, che qualcuno si ponga come elemento aggregante attorno al quale le realtà artistiche possano gravitare. È estremamente importante sapere che esistono persone della stessa categoria, con le stesse problematiche, che hanno deciso con consapevolezza di abbandonare temporaneamente la propria pratica artistica per lasciare spazio a chi si trova alle prime armi e offrire sostegno nella valutazione delle loro azioni e scelte future, che in molti casi possono risultare determinanti. In questo momento il DM sembrerebbe permettere una struttura nuova ed è quindi necessario battere il ferro finché è caldo.
Luca Mazzone di C.Re.S.Co avanza un’osservazione in merito all’eccessiva presenza di nuovi organismi, sostenendo che il continuo costituirsi di nuove compagnie sia un segno negativo del sistema. Come mai accade, soprattutto se non si hanno forze e competenze burocratico amministrative per portare avanti un progetto artistico? Si tornerà più avanti su questo punto, che ha molto a che fare con gli strumenti di apprendimento forniti da scuole e accademie e con la consapevolezza della necessità di conoscere i diritti e i doveri della figura professionale di appartenenza. Inoltre Mazzone riporta l’attenzione sulla definizione di under 35 come criterio imprescindibile per accedere a risorse e opportunità per esprimere dissenso nei confronti di questa scelta, dal momento che ciò che per lui è davvero importante è il valore di un progetto e, ancora meglio, il valore di un progetto in relazione al territorio in cui viene proposto. Ogni tipo di criterio andrebbe abolito di fronte a questa priorità.
Viene introdotta un’altra questione, che verrà sviscerata e chiarita più avanti. Chi prende la parola ricorda dell’importanza del sistema delle residenze, che andrebbe difeso e sostenuto, dal momento che per molti artisti/e e compagnie diventa fondamentale per crescere artisticamente. Inoltre, continua qualcuno, il cosiddetto “commercio del modello C1” non andrebbe demonizzato, dal momento che risponde a una volontà politica, sbagliata, ma che condiziona la vita di chi gravita nel mondo dell’arte.
Tommaso Giordani, uno dei quattro componenti di Zoopalco, collettivo di poesia orale e performativa che si occupa di progetti multidisciplinari, risponde alla domanda sulle possibili strategie di sostentamento con la parola progettazione. La sua realtà, attivando una serie di collaborazioni, è riuscita a partecipare a progetti di produzione e cicli di laboratori nelle scuole, utilizzando queste opportunità come occasioni di formazione e autoformazione. Molto importante anche la pratica del multi-funding, che ha permesso loro di ottenere diverse forme di finanziamento. Giordani sottolinea l’importanza di conoscere il territorio in cui si opera e gli strumenti da utilizzare, ma anche di appoggiarsi a strutture più grandi e accumulare competenze, per evitare il rischio di mettere a repentaglio la vita di progetti molto belli sulla carta, ma che non riescono a trovare un’applicazione concreta per mancanza di strumenti.
Alessandro Di Murro di Teatro Basilica propone un’altra parola per lui fondamentale ai fini di un sostentamento economico: modularità. Un progetto deve essere flessibile, perché muta necessariamente in base alle strutture che lo ospitano. Quello che la sua realtà di riferimento ha tentato, ottenendo dei risultati importanti, è stato di modulare le proprie attività, anche in base agli spazi. Di Murro introduce anche la parola collaborazione annunciando la recentissima nascita di 34.9, una rete di sostegno per i soggetti under 35 candidati per la prima volta al DM. La rete ha lo scopo di condividere degli strumenti di lavoro, indirizzare alla procedura di partecipazione ai bandi e ragionare sulla categorie under 35. Di Murro conclude con una riflessione sulla necessità di processi lunghi, che però si scontra con la difficoltà di restare in piedi mentre si cerca di trovare e attuare strategie di sostentamento.

Le scuole e le accademie teatrali preparano realmente al mondo del lavoro o il passaggio dalla formazione all’attività professionale è troppo brusco? Cosa potrebbe essere migliorato?
Alessia di Officine Meraki si occupa di organizzazione e prende la parola per condividere il suo percorso formativo. I suoi studi le hanno fornito degli ottimi strumenti e l’attività di tirocinio l’ha immessa nel mondo del lavoro. Ha trovato invece un tessuto piuttosto impermeabile all’interno di compagnie teatrali e festival, dove spesso non è stata riconosciuta la propria professionalità, né le sono state fornite delle opportunità di crescita.
Francesca D’Ippolito approfitta del racconto di questa esperienza, che ha a che fare con il mondo dell’organizzazione, per ricordare di un incontro tenuto con alcuni studenti e studentesse del secondo anno della Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi di Milano, nell’ambito del progetto C.Re.S.Co studia, per mettersi in ascolto della loro visione delle politiche culturali relative al DM. È stato un momento formativo importante che ha permesso ai membri di C.Re.S.Co di riconoscere la qualità del percorso di apprendimento che studenti e studentesse stavano portando avanti. Chi invece proviene da accademie legate prettamente al mestiere dell’attore racconta di arrivare completamente privo di strumenti nel mondo del lavoro. D’Ippolito continua citando un’inchiesta del 2017, Vita d’artista, realizzata da FDV e CGIL – SLC in cui emerge che più del 70% delle realtà under 35, oltre a vivere in condizioni economiche inferiori ai 5.000 euro, non sono a conoscenza dell’esistenza di un contratto collettivo nazionale, non sono iscritti a un sindacato o a una rete di rappresentanza, privandosi quindi della possibilità di farsi rappresentare per diventare voce collettiva, e ignorano i propri diritti. Che cosa cambia, invece, per chi ha ricevuto degli strumenti validi per orientarsi nel mondo del lavoro?
Cesare D’Arco aggiunge che normalmente nel triennio didattico delle accademie che formano attori e attrici manca un modulo dedicato al sistema normativo. Molti di questi percorsi formano all’autorialità, più che a diventare futuri scritturati. Ciò comporta che alla fine dell’esperienza formativa nascano compagnie e collettivi, ma privi di strumenti per entrare nel mondo del lavoro.
Alcuni/e dei/delle presenti confermano che durante il loro percorso di formazione da attrici e attori hanno ricevuto pochissime ore di formazione e venivano costantemente incitati a “fare compagnia”.
Daniele, attore, afferma invece di essersi sentito pronto per entrare nel mondo del lavoro alla fine del suo percorso di formazione, ma avrebbe voluto incontrare altre compagnie per confrontarsi anche su questioni pratiche, dal momento che il suo desiderio era quello di fondare un gruppo. E infatti, da un altro intervento emerge la questione dell’apprendimento attraverso l’affiancamento di compagnie indipendenti, che sono state in grado, grazie alla propria esperienza, di stimolare anche un pensiero sul futuro, una prospettiva a lungo termine.
Non è un caso se molte compagnie presenti hanno dichiarato di trovarsi di fronte alla domanda ministeriale molto spaesati e di dover «elemosinare competenze». A sostegno di queste affermazioni un’attrice dichiara di aver ricevuto in tre anni di accademia solo due ore di formazione sugli aspetti pratici del lavoro di uno scritturato, che ha potuto apprendere realmente solo successivamente grazie al confronto con colleghi e colleghe, e di essere stata continuamente incitata a creare una propria compagnia, da aggiungere al mucchio di quelle già esistenti.
Luca Mazzoni interviene a chiusura di questa parentesi sulle scuole di teatro per ricordare che spesso le accademie alimentano sé stesse e che occorrerebbe una regolamentazione.
Andrea Martelli, parlando dal suo punto di vista, che è quello dell’organizzatore, ricorda che non si tratta solo di un problema di didattica, ma di opportunità formative: per gli organizzatori ce ne sono pochissime e non accessibili a chiunque, a causa dei costi elevati. Inoltre la figura del curatore e dell’organizzatore non sembra ancora essere valorizzata, insieme allo spettacolo in generale, che non è considerato un vero mestiere.
Napoleone Zavatto di C.Re.S.Co riporta la sua esperienza personale di docenza nel settore dell’organizzazione per ricordare che più che di collaborazione bisogna parlare di cooperazione, perché quando si collabora si va insieme e con lo stesso passo. Si tratta di una pratica necessaria per chi si occupa a più livelli di arti sceniche. Lui stesso, quando nel 2013 incontra C.Re.S.Co e quindi un luogo in cui qualcuno è riuscito a rispondere alla sue domande e a stimolarne di nuove, ha imparato a trasformare «l’ascolto in confronto e i luoghi di lavoro in spazi di partecipazione».
Quali esperienze positive ci sono state nel tuo percorso? Ci sono stati progetti, bandi o realtà che ti hanno effettivamente supportato e accompagnato dal punto di vista artistico e professionale?
Questo interrogativo, come ha sottolineato Francesca D’Ippolito alla fine degli interventi dei partecipanti, ha permesso di aprirsi finalmente a uno slancio di positività.
È stato importante ascoltare le risposte a questa domanda, dalle quali è emerso un racconto a più voci su alcune esperienze virtuose in Italia, considerate in qualche caso fondamentali da quanti hanno preso la parola. Massimo riporta la sua esperienza di volontario nei festival, che considera luoghi di grande arricchimento in cui si costruiscono comunità temporanee e durante i quali è riuscito a prendere parte a numerosi laboratori e a fare rete. Cita in particolare Prima Onda Fest a Palermo. Andrea Martelli, che è nel coordinamento di Direction Under 30, racconta di questa esperienza come una scintilla che gli ha permesso di comprendere la sua inclinazione per il lavoro di organizzatore; cita anche il progetto Ambasciatore/Ambasciatrice del Festival dei Teatri di Reggio Emilia, che permette ai/alle partecipanti di assistere gratuitamente a diversi spettacoli del programma e partecipare a incontri e visite organizzati con esperti e/o artisti/e. Il progetto delle direzioni artistiche partecipate secondo Martelli è di grande utilità e potrebbe essere esportato e utilizzato per arricchire i percorsi di studio indirizzati alle arti sceniche. Altre esperienze citate sono quelle di Campo Teatrale a Milano, che ha supportato numerosi/e artisti/e e compagnie nella realizzazione di progetti artistici, Dominio Pubblico a Roma, di cui è già stato detto in precedenza, Strabismi Festival nel perugino, che investe sul teatro emergente e ha una direzione artistica partecipata under 35 e Spin Time, un centro culturale polifunzionale a Roma che offre supporto a livello burocratico, ma anche di spazi.
Alessandro Balestrieri ritorna sulla sua esperienza positiva in provincia di Latina nominando MATUTATEATRO a Sezze, una realtà con la quale si è formato e che gli ha permesso di entrare nel mondo del teatro mettendo a disposizione i propri spazi; menziona anche Il Teatro della Caduta e Risonanze Network, rete di sostegno di realtà under 35 di cui è promotore.
Viene ricordato anche il convegno, tenutosi a Gorizia, Le Residenze artistiche in Friuli Venezia Giulia, un incontro tra gli artisti nei territori e il mondo della produzione e della distribuzione, che dimostra quanto l’esperienza dell’incontro e del confronto attraverso lo scambio di pratiche risulti sempre quella più efficace e arricchente.
Qualcun altro, invece, fa riferimento a esperienze più lontane nel tempo: gli incontri con grandi uomini e donne dello spettacolo tenutisi presso l’università La Sapienza di Roma; l’esperienza (con vitto e alloggio gratuito) a Santarcangelo festival, in cui veniva data ai/alle tirocinanti piena fiducia e quindi una serie di responsabilità e grandi occasioni di apprendimento grazie, per esempio, al coinvolgimento nelle riunioni con tutti i comparti.
Conosci esperienze virtuose di mutua assistenza e collaborazione (e cooperazione) tra artisti o professionisti dello spettacolo?
Viene chiesto a Giuseppe Provinzano che gestisce Spazio Franco a Palermo, di raccontare dell’esperienza dei Cantieri Culturali alla Zisa di Palermo, un’ex area industriale, realizzata da Vittorio Ducrot, che è stata oggetto di un processo di rigenerazione urbana e umana, tanto che oggi ospita eventi culturali ed espositivi. All’interno dell’area sono presenti più di 20 padiglioni di differenti grandezze, alcuni di questi gestiti dal comune di Palermo e altri da diverse associazioni (tra cui lo stesso Spazio Franco) che sono state in grado di creare un sistema di mutua assistenza attraverso uno scambio di competenze reali, tecniche e spaziali. Ne è un esempio l’esperienza di Mercurio Festival, durante il quale è possibile disporre di tutti gli spazi dei Cantieri. Inoltre nel corso dell’anno viene fornito lo spazio e la tecnica a chi ne ha bisogno e la mutua assistenza si estende anche alla progettualità. L’esperienza virtuosa dei Cantieri nasce dall’idea che la crescita di ognuno porti benefici a tutti, nel rispetto delle differenze. Provinzano afferma che se non esistesse questa mutua assistenza anche Spazio Franco avrebbe difficoltà nel produrre, programmare ed esistere come spazio di residenza.
A proposito di residenze, Francesca D’Ippolito approfitta per rilanciare una questione rimasta in sospeso. In che senso le residenze supportano artisti e artiste e come si inseriscono nel sistema teatrale? Si tratta naturalmente di una domanda provocatoria che rivela tutta la complessità della questione delle residenze artistiche, che corrono costantemente il rischio di diventare strumenti produttivi per artisti/e alla ricerca di un sostegno alla realizzazione di un progetto.
Rispondono quanti inizialmente avevano sollevato la questione sottolineando l’importante ruolo delle residenze per artisti/e e compagnie. Le residenze stanno riempiendo un vuoto e ricoprendo un ruolo che non rispecchia la loro funzione, affermano. Andrebbero difese perché tutelano quegli spazi non produttivi ma di creazione che vengono sottratti sempre di più agli/alle artisti/e. Succede però, purtroppo, che si produca proprio grazie alle residenze.
Giulia Guerra della Corte Ospitale, particolarmente sensibile all’argomento, in quanto direttrice di un centro di produzione e residenza, ricorda che esistono battaglie da affrontare insieme, alle quali non ci si può sottrarre se si intende provocare un vero cambiamento nel mondo dell’arte. Una di queste riguarda certamente le residenze: produrre attraverso residenze con un piccolo contributo è come cedere C1 in cambio di un compenso. Sono due modi di procedere sbagliati.
Ritornando alle pratiche di cooperazione tra artisti o professionisti dello spettacolo, prende la parola Carmelo Mulè, che gestisce a Roma un’esperienza di mutua assistenza, Spin Time. Uno spazio occupato e continuamente minacciato dagli interessi economici dei privati, all’interno di uno stabile che ospita una palestra, una scuola popolare e La Redazione di Scomodo. Spin Time offre uno spazio non solo a compagnie e artisti/e, ma anche alle istituzioni, come è accaduto per l’università La Sapienza con il progetto Vestiti della vostra pelle. Residenza didattica per artisti e gruppi teatrali una factory creativa che si rivolge ad artisti/e o gruppi con un progetto teatrale già ideato, condotto da Andrea Cosentino, nell’ambito delle attività didattiche e di terza missione del Dipartimento di Storia antropologia religioni arte spettacolo, con il sostegno di Crea – Nuovo teatro Ateneo, in collaborazione con la Fondazione Palladium e Roma Tre. Ai partecipanti al progetto è stato permesso di provare presso il Teatro Ateneo solo tre volte, per il resto hanno utilizzato gli spazi del Teatro Basilica e di Spin Time, che inoltre sostiene il lavoro delle compagnie anche con progetti come Aria, una sorta di residenza che garantisce alle compagnie sei giorni di prova da mattina a sera. I criteri per poter aderire al progetto di residenza sono la presenza di una scenografia, un numero di attori e attrici non inferiore a tre, la garanzia di una prova aperta. La scelta di questi parametri, spiega Mulè, parte dal desiderio di superare quella tendenza a realizzare spettacoli scarni, senza scenografie e con un solo attore in scena, che sembra dominare il teatro contemporaneo a causa delle difficoltà di artisti/e e compagnie di sostenere la realizzazione di progetti più complessi anche dal punto di vista tecnico.
Carlotta Vitale, co-fondatrice della compagnia potentina Gommalacca Teatro, riporta l’attenzione sull’importanza della collaborazione tra operatori e professionisti dello spettacolo all’interno del progetto C.Re.S.Co. Per la sua compagnia è stato fondamentale prendere parte attivamente alla rete, che ha contribuito alla nascita in Basilicata di una legge sullo spettacolo dal vivo che prima non esisteva. Il dialogo con C.Re.S.Co ha dunque favorito un incontro proficuo con le istituzioni, fino ad arrivare alla stesura di una legge regionale. Vitale sottolinea che questo tipo di cooperazione è stata necessaria affinché lei stessa, da professionista dello spettacolo, comprendesse il proprio ruolo all’interno di quello che è un processo, in cui tutti/e siamo chiamati/e in causa. Esiste un’etica del lavoro che è strettamente connessa alla costruzione di una conoscenza molto salda della propria figura professionale. È necessaria una specializzazione nel proprio ruolo e la consapevolezza di essere uno degli ingranaggi di una macchina che bisogna far funzionare molto bene in tutte le sue parti e perché questo avvenga è di enorme importanza conoscere i propri diritti e doveri. Questa presa di coscienza permette non solo di svolgere al meglio il proprio lavoro e di renderlo dignitoso, ma anche di pretendere un dialogo diverso con chi questo lavoro lo norma. Si tratta di buone pratiche che inevitabilmente ricadono sul ruolo che i professionisti e le professioniste dello spettacolo, operatori e operatrici dovrebbero assumersi in un territorio, se non addirittura in una intera nazione.
Arrivati a questo punto il pomeriggio di confronto si avvia a poco a poco alla sua conclusione. Sono state attraversate numerose questioni, che hanno anticipato alcune delle domande che C.Re.S.Co intendeva sottoporre ai/alle partecipanti relativamente al meccanismo dei bandi (Come ti rapporti con il “meccanismo” dei bandi, premi e percorsi basati sulla competizione? L’attuale sistema di supporto e premialità per artisti/e e compagnie alle prime esperienze professionali ti pare virtuoso oppure è migliorabile?) e alle recenti introduzioni presenti nel nuovo DM (Secondo te le recenti introduzioni presenti nel nuovo decreto Ministeriale facilitano il ricambio generazionale? Es. direttore artistico junior nei Teatri Nazionali, premialità per autori under 40 e artisti/tecnici under 35).
Si prosegue e si conclude, dunque, con l’ultima domanda.

Quali sono gli ostacoli per le direzioni artistiche nel momento di programmare giovani compagnie emergenti? Carenza di qualità nell’offerta, timori legati alla risposta del pubblico oppure ai parametri ministeriali, effettiva pigrizia davanti al rischio culturale?
A questo interrogativo segue subito uno scambio di informazioni tra i/le partecipanti, su sollecitazione di un giovane attore che chiede se esistano competizioni finalizzate a creare una comunità temporanea che realizzi una performance in un tempo dato, piuttosto che premiare semplicemente una compagnia già costituita e il suo progetto artistico. È un momento interessante di scambio, che dimostra come le domande-stimolo continuino a lavorare nei partecipanti, a generare ulteriori interrogativi e curiosità e incoraggino a cercare confronti, laddove diventa sempre più difficile creare momenti di scambio e d’incontro.
Viene citato il Fantasio Festival Internazionale di Regia Teatrale a Trento, in cui i partecipanti sono chiamati a creare uno spettacolo di durata compresa tra 10 e 15 minuti lavorando tutti sullo stesso testo per poi essere valutati da una giuria tecnico-artistica che decreterà i vincitori della migliore pièce teatrale del concorso di regia. Qualcun altro menziona invece CON_TESTO al Teatro Filodrammatici di Milano, un esperimento di scrittura teatrale in tempo reale in cui drammaturghe/i, registe/i, attrici e attori dovranno, nell’arco di 24 ore, creare uno spettacolo originale, ispirato a notizie e fatti accaduti nella settimana precedente la data della messa in scena. Si tratta di esperienze considerate interessanti dai partecipanti che hanno potuto sperimentare in prima persona poiché facilitano e favoriscono la conoscenza tra professionisti/e dello spettacolo.
Al termine di questo momento di scambio si ritorna alla domanda di partenza, che apre una questione molto spinosa e tocca uno dei nervi scoperti del sistema, forse il più sensibile, perché ci rimanda una contraddizione importante: si esprime la volontà di sostenere le compagnie under 35 ma poi si lascia che queste si scontrino con la difficoltà e molto spesso con l’impossibilità di essere programmate. Questo accade perché le direzioni artistiche non si assumono quel rischio culturale di cui si parlava una volta nel DM e cioè operare in ambiti dove non c’è un immediato ritorno di botteghino, lavorare sull’innovazione dei linguaggi, azzardare nelle proposte. Tutto ciò comporta la limitazione delle «opportunità di visibilità e crescita professionale dei nuovi artisti e delle nuove compagnie che faticano a trovare spazio all’interno di contesti prestigiosi e istituzionali. Inoltre, tale fenomeno, contribuisce ad alimentare ogni anno un’offerta culturale poco dinamica, inclusiva, eterogenea e poco incline a far emergere nuove voci e talenti; insomma, nuove compagnie e gruppi artistici», come scrive Carmelo Crisafulli nella sua tesi di laurea magistrale precedentemente citata. D’altra parte, però, sottolinea qualcuno, anche artisti/e e compagnie dovrebbero porsi il problema del pubblico. È importante conoscere il mercato, farsi impresa, ma anche avere una grande consapevolezza del proprio destinatario e qualcosa di urgente da dire. Un’altra grande questione è il lavoro sul territorio. C’è chi riporta la propria esperienza positiva di direzione artistica rispetto alla possibilità di sorprendere spettatori e spettatrici con proposte inattese, ma questo è stato possibile solo attraverso un percorso di fidelizzazione e di educazione allo sguardo.
Su queste questioni importanti si chiude il lungo e ricco pomeriggio di confronto. Francesca D’Ippolito osserva che uno degli elementi più significativi emersi è sicuramente la necessità di uno scambio di informazioni, il bisogno di diventare parte di una rete per aggiungere alle proprie conoscenze e consapevolezze «il pezzo mancante». È necessario farsi voce collettiva perché le proposte che si intendono avanzare presuppongono un linguaggio specifico, quello utilizzato da chi norma il sistema. Non tutti e tutte padroneggiamo questo codice ed è per questo che diventa fondamentale affidarsi a realtà di rappresentanza, siano esse sindacati o associazioni di categoria. Non è più tempo di delegare, pensando che tutto questo non ci riguardi, ma di provocare un cambiamento. «Quando il potere dorme tocca a noi teatranti fabbricare i sogni di cui siamo fatti», conclude D’Ippolito citando Giorgio Strehler e ricordando che C.Re.S.Co cercherà di tradurre ciò che emerso da questi scambi in articoli e commi, perché questo è il loro compito: «se prima il potere si disinteressava al teatro e quindi dormiva, oggi non sta dormendo, sta rivendicando un’egemonia culturale e stanno cambiando le parole. Riprendiamoci le piazze, gli spazi del confronto e se serve i momenti del conflitto. Scegliete qualcuno che possa far arrivare questa voce ai tavoli di chi decide le cose di cui noi tutti subiamo conseguenze. Abbiamo provato a mettere al centro le brutture del sistema, ma abbiamo anche provato a dimenticarle per un po’ e a coprirle di positività, anche se sono riemerse da sotto al tappeto. Smettiamo di nascondere le falle del sistema e riprendiamoci quegli spazi».
Una conclusione alla quale è difficile poter aggiungere altro.
Parlare di nuove generazioni, soprattutto in Italia, diventa un atto politico. Il sistema dello spettacolo e il sistema politico e culturale tutto vive una gravissima e profonda crisi, che svilisce i diritti dei cittadini e delle cittadine di tutte le età. Il mondo del teatro si trova a vivere problematiche che non sono sconosciute anche a quanti si occupano di tutt’altro: il problema del lavoro, dei diritti minimi che ci spettano come membri di una società nella quale ognuno di noi fa la propria parte.
In Italia sono pochissime le persone che conoscono i propri diritti o che si sentono nelle condizioni di poterli esercitare rifiutando dinamiche ricattatorie possibili solo in un Paese in cui riuscire a vivere dignitosamente del proprio lavoro è un lusso.
Quale futuro, dunque, per quanti si affacciano al mondo del lavoro?
E quale futuro per il mondo dello spettacolo dal vivo, se non investe sui nuovi linguaggi, se si chiude alla sperimentazione, se non passa mai il testimone, se non riesce a riconoscere nei giovani un potenziale, se non si lascia attraversare e stravolgere da nuove energie?
E infine, quale futuro, se, come dice D’Ippolito si tende a delegare e a non impegnarsi in prima persona per difendere ciò che ci riguarda direttamente?
Sono domande retoriche, ma è bene che ognuno di noi provi a darsi una risposta.
Dal confronto di questo pomeriggio sono emersi certamente importanti tentativi di trasformazione, soprattutto nelle operazioni di mutuo soccorso attuate con la consapevolezza di dover agire insieme, fare squadra e non dividersi in una miriade di nuove formazioni prive degli strumenti necessari a sopravvivere. Non una lotta individuale alla sopravvivenza, ma un movimento collettivo che tenta di trasformare il sistema. Sono emerse però anche tante difficoltà nel rinunciare a certi compromessi svilenti, un abbattimento e una rassegnazione che cela una richiesta d’aiuto. Si spera che questo pomeriggio abbia generato collaborazioni e nuove acquisizioni e soprattutto la consapevolezza della necessità di acquisire competenze nell’ambito della difesa dei propri diritti e di farsi voce collettiva attraverso realtà di rappresentanza.
Si parla troppo poco di politiche culturali e reti come C.Re.S.Co sono fondamentali, insieme a quel messaggio rivoluzionario che cerca di trasmettere. Cambiamo insieme affinché tutto cambi.