È sabato 26 ottobre. Bologna è in ginocchio per l’alluvione accaduta appena una settimana prima. Il caos tra partite annullate ed eventi spostati si scontra con la presenza di un sottile velo di nebbia, statico, e l’aria ferma e umida, come se tutta quell’acqua fluita nei giorni scorsi non se ne fosse andata. Come se la furia del fiume si fosse trasformata in quello strato silenzioso ma che ci ricorda con la sua sola presenza cosa è successo e velatamente, minaccia.
Mentre fuori il mondo scorre, con i dovuti sbarramenti, al DAS sta per andare in scena la restituzione di
Cauma Meridie, un laboratorio che incentra la sua ricerca sulla figura del dio Pan. Il laboratorio, durato
sette incontri, è stato condotto da Dewey Dell, la compagnia composta da Teodora Castellucci, Agata
Castellucci, Vito Matera e dal musicista Demetrio Castellucci e prodotto da Gender Bender nell’ambito di Fuoco Fauno, un progetto speciale realizzato in rete da Gender Bender, Fondazione Piemonte dal Vivo / Lavanderia a Vapore, Teatro Stabile dell’Umbria che esplora e rimette in scena la figura del FAUNO nella danza.
Quando la porta della sala del DAS si spalanca, davanti all’ingresso, dei corpi di spalle si frappongono tra il pubblico e uno spazio nero, vuoto. I performer vanno a sedersi in una fila ordinata, dando le spalle al
pubblico. All’interno della sala aleggia una leggera nebbia illuminata solo dalle luci di emergenza. Con una luce soffusa un corpo si alza, raggiunge un punto preciso dello spazio e si ferma. Inizia una serie di
movimenti convulsi, interdetti da qualche forza misteriosa. Qualcun altro dalla lunga fila si alza, raggiunge
un altro punto nello spazio e dà il via ad un’altra serie di azioni codificate, ma che danno l’idea di un
qualcosa di rotto. Intanto si è alzato un sottofondo musicale fatto di note basse e ritmi spezzati, sincopati.
Sul fondo della sala vengono proiettati i dettagli di teschi, ossa di animali diversi, corna che si allungano in spirali. Un repertorio di immagini inquietanti e allo stesso modo seducenti nella loro perfezione. I danzatori continuano le loro azioni slegate apparentemente le une dalle altre, poi qualcuno inizia a saltare, e uno dopo l’altro tutti iniziano la stessa azione. Iniziano così diversi giochi che creano immagini infinite, in un momento tutti convergono fino a creare un unico corpo che sembra perdersi in un’estasi orgiastica, qualche momento dopo sembrano tutti volersi sbranare a vicenda. Sembra di assistere ad un rito dionisiaco, mentre sullo sfondo appare la perfetta superficie di un cranio, come fosse la luna. I corpi messi in scena da Dewey Dell sono corpi totalmente esposti, continuamente in lotta contro loro stessi e contro gli altri, ma anche totalmente immersi in loro stessi e negli altri, corpi che non conoscono una via mediana. I generosi partecipanti al laboratorio per tutta la durata della restituzione restano coinvolti in ciò che sta accadendo con una sconcertante presenza. Riportano alla mente il fiume esondato, una forza incontrollabile, che lo si voglia o meno, una forza naturale incarnata in un rito allo stesso tempo estatico ed esorcistico, che vive in tutte le sue contraddizioni con una sola e indiscutibile condizione: un totale coinvolgimento del corpo. Così appare il dio Pan, punto di partenza di questa ricerca di Dewey Dell. Un dio primordiale che vive negli estremi, evocato dalle immagini caprine sul fondo e da un momento in cui tutti i performer si trovano in ginocchio a convergere verso uno solo di loro che in piedi, al centro della scena con braccia divaricate, sembra aver ricevuto nel corpo lo spirito del dio. Lo spettacolo così come si è aperto si conclude. La stessa performer che ha dato il via a tutto si ritrova nella stessa posizione, a compiere gli stessi movimenti. Tutti gli altri lentamente prendono spazio nell’ombra che il suo corpo getta nello spazio. Lentamente la luce sfuma. Come se tutto quello che abbiamo visto non fosse che la declinazione di diverse versioni dello stesso corpo, quello del dio Pan, e delle sue infinite incarnazioni.
Quando finiscono gli applausi e si accendono le luci uno dei partecipanti ci dice che lo spettacolo è
cambiato fino a qualche ora prima, un altro ci informa che le musiche composte da Demetrio Castellucci
sono state costruite man mano con le giornate di laboratorio. Tutte queste informazioni ci riportano a
pensarlo come l’esito di pochi giorni di lavoro, accentuandone l’efficacia. All’uscita dal Das l’impressione è
di aver assistito ad un sacrificio, un rito in cui trenta corpi si sono esposti per riflettere sul fatto che siamo
soprattutto questo, i nostri corpi. E fuori, la nebbia ricorda quella forza indomabile che è la natura.
Articolo scritto da Francesco Cervellino per Speciale Gender Bender 2024
L'autore
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Redazione intermittente sulle arti sceniche contemporanee.