Aprile 2022: Camilla Marchisotti, Verdiana Benatti e Vittorio Lauri dialogano con Roberta Lidia De Stefano e Maria Vittoria Berlingeri, rispettivamente interpete e regista dello spettacolo “Kassandra”, nell’ambito del laboratorio di critica teatrale a cura di Altre Velocità, condotto da Alex Giuzio e Lucia Oliva nel 2022
Lo spettacolo Kassandra è appena stato all’Arena del Sole di Bologna (dal 24 al 27 ottobre 2024) e sarà in tournée a Milano (Teatro Fontana dal 20 al 23 febbraio) e Roma (Teatro Biblioteca Quarticciolo il 17 e 18 maggio) nel 2025.
[Vittorio Lauri] Kassandra è un testo di Sergio Blanco che è stato scritto tra il 2008 e il 2009. Il vostro spettacolo ci è sembrato interessante per diversi motivi: da un lato è molto accessibile e allo stesso tempo è molto politico e denso; gioca tra passaggi all’apparenza leggeri e altri più profondi, in un equilibrio che viene tenuto molto bene sul palco. Com’è stata la genesi del vostro incontro con il testo? Qual è stato il vostro rapporto con il testo preesistente rispetto a questa messinscena?
[Roberta Lidia De Stefano e Maria Vittoria Berlingeri] Siamo contente di questo punto di vista che ci riportate. In effetti, giochiamo sulla compresenza di tutti questi fattori, dall’ironia alla fluidità, in una messinscena contemporanea eppure classica, convenzionale eppure innovativa. Questo aspetto coincide molto con l’idea del testo di cui chiedi: un’intera opera su Cassandra non esiste nella tragedia ma il personaggio è famosissimo, se ne è parlato e se ne parla nella contemporaneità. Tuttavia si avverte la presenza di un colosso, che appartiene a quel tempo in cui la Grecia era il capostipite della civiltà e si scontra con quello che invece è una figura molto contemporanea. Questo testo è stato scritto da Sergio Blanco nel 2009, nell’Atene della crisi economica, ben lontana dall’essere quella città-stato che fu. Quindi questa compresenza di decadimento e memoria della storia dell’umanità crea una grandissima distanza, in cui possono coesistere la street art, quindi Bugs Bunny, banalmente, e Apollo. Un sguardo un po’ come Mimmo Rotella, che usa i manifesti e ci gioca, da Marilyn al circo, c’è un po’ quell’immaginario lì, del manifesto pubblicitario, anche un po’ erotico, ironico, che guarda all’acropoli. Questo crea una grande ironia, una grande distanza epica che permette anche in momenti di grande tragicità di poter godere dell’ironia tragica: Kassandra sa che andrà a morire eppure ha una spinta vitale che le permette di continuare a vaticinare, a profetizzare il futuro.
[Verdiana Benatti] Ci siamo chieste come si fosse passati dalla Cassandra con la C, per intenderci, alla Kassandra con la K; quale sia il dialogo che avete deciso di stabilire con la tradizione. Avete attinto anche da altre tradizioni? Penso per esempio alla storia di Agamennone e dell’omicidio di Clitennestra, o addirittura ad altre figure di profeti, come Tiresia, o profetesse. Insomma, nella creazione di questo personaggio, che dialogo c’è con quanto avvenuto prima?
[RLDS e MVB] C’è un dialogo con quello che è venuto prima, in particolare con l’Orestea, perché sono l’Orestea, o l’Iliade di Omero a raccontare la storia di questa famiglia: una Beautiful contemporanea, la più grande soap opera che va a consumarsi nel V secolo. Però la questione importante è che i punti di riferimento sono più quelli futuri: c’è una poetica della strada presente in Kassandra. Più che a Tiresia, noi abbiamo attinto all’archetipo della pazza del villaggio, l’immagine di una Melina Riccio a Genova: per chi la conosce, è una donna che scrive sui muri, che scrive “pace”, “amore”, “bellezza” e imbratta i muri di opere d’arte, di fiori, va in giro vestita un po’ come una profetessa. Ecco, queste figure qui, che sono poetiche, ma sono anche politiche perché compiono delle scelte, dei gesti, scrivono sui muri, sono figure portatrici di amore così come Kassandra. Al tempo stesso sono agnelli sacrificali: sempre derise, considerate pazze, parlano in versi, per cui la forma in cui si esprimono è qualcosa di strano, strambo. In più, in questo immaginario naϊf (perché lo è, ha a che fare con la comicità, con la tenerezza) c’è anche l’aspetto politico del personaggio che va contro il regime: la nostra figura di riferimento è stata Marina Kolesnikova, una politica e musicista che si è opposta al regime di Lukashenko in Bielorussia. Lei è una specie di simbolo per noi importantissimo delle prigioniere di coscienza, cioè quelle persone che si sono opposte al regime e, per il semplice fatto di pensarla diversamente (spesso succede nell’Est, come potete immaginare anche adesso) sono in carcere: per questo motivo lei è in carcere dal 2020, e se ricusasse tutte le cose che ha detto finora sarebbe libera. O come Alaa Salah, soprannominata Candace [titolo dato alle regine del Sudan antico, ndr] che nel 2019 in Sudan si oppose a Bashir. Questi personaggi femminili che si oppongono a una linea politica di repressione, si incontrano con la nostra politica e la nostra poetica, creando un mix.
[Camilla Marchisotti] È vero che si oppongono, ma non lo fanno con gli strumenti della politica tradizionale: si oppongono – e questo Kassandra lo fa capire bene – mettendoci il corpo; non è una critica all’ordine costituito che si realizza attraverso la scrittura di un manifesto, la fondazione di un partito politico; è la valenza politica del corpo in sé, che sta. Tu che hai incarnato questa Kassandra: che tipo di lavoro hai fatto sul corpo e che tipo di valenza politica ha portare un corpo del genere sul palco? Immagino sia un personaggio difficile da portare in scena.
[RLDS] Sì, molto, perché convivono molte contraddizioni. In realtà, più che il personaggio, mi piacerebbe portare in scena una persona. È evidente che c’è in Kassandra un aspetto monolitico, mastodontico, di statua, per cui c’è un riferimento alla Grecia, tant’è vero che c’è anche il pezzo in greco, agito tramite un lavoro fatto con la regista sul corpo, una coreografia che abbiamo fatto sui versi greci antichi. Il corpo è la voce, il corpo è il prolungamento della voce e la voce è il prolungamento del corpo: c’è qualcosa di estremamente fleshy, carnale; il corpo è inteso come lingua, come voce, come necessità di uscire anche dal corpo; corpo come non-corpo, e anche come manifestazione e testimonianza. È un farsi testimone, come succede nella scena in cui mi spruzzo con la bomboletta i punti delle ferite [delle coltellate, ndr]: quella del mio personaggio è una protesta artistica, non è una protesta nel salotto del potere; è una protesta in cui mostro la nudità, mostro i miei seni, una sorta di immagine cristologica, sacrificale, del capro. È un immaginario che rimanda molto anche alle Femen, alle Pussy Riot, a tutte quelle proteste che nascono dal basso, a tutti quei movimenti femministi o transfemministi intersezionali come “Ni una menos” o “Se non ora quando?”. Insomma, c’è anche quell’aspetto della politica della strada e della sorellanza, per cui un corpo diventa simbolo in rappresentanza di una collettività. La sororité, questo concetto per cui la vittoria di una è la vittoria di tutte, un corpo violato è tutti i corpi violati; e cos’è questo se non il teatro, è sintesi del corpo e per questo parla a tutt*.
[CM] Nel modo in cui lo spettacolo è stato presentato (locandine, citazioni) è stata molto sottolineata la presentazione di Kassandra che sale sul palco e dice “Non sono un uomo, non sono una donna, è complicato, sono solo Kassandra”. Anche per il modo in cui viene presentata esteticamente sul palco, per la lingua che parla, i vestiti che porta, lo spettatore automaticamente è portato a incasellarla in una determinata categoria: sex worker, straniera, persona transessuale. Poi però procedendo con lo spettacolo ci si rende conto che forse non è uno spettacolo sull’identità di genere, sulla transessualità: nel creare lo spettacolo e nel portarlo in scena, come vi siete messe in dialogo con questo argomento? È stato un po’ camminare sui gusci d’uovo?
[RLDS] In questo momento c’è una grandissima attenzione attorno a queste tematiche, a volte ormai avvengono delle vere e proprie strumentalizzazioni. Questo non è un testo modaiolo, è un testo libero. Kassandra è ultima tra gli ultimi: che sia una donna, un uomo, che sia una trans o non lo sia, che sia una travestita o un travestito non ha alcuna importanza. È proprio l’esempio della purezza, della libertà, è l’esempio di come uno stereotipo possa essere ribaltato continuamente, di come la violenza possa essere vista da tanti punti di vista, anche in maniera utile. È più un riferimento a Virginie Despentes che dice “c’est impossible de violer cette femme si pleine de vices”, è impossibile violare questa donna così piena di vizi. Certe affermazioni si possono fare solo dopo aver subito mille violenze, solo dopo essersi prostituite; è un triplo salto mortale su cui si mette l’attenzione. Questa è la grande libertà di un testo e di una messinscena che comunque parlano alla minoranza a prescindere. C’è una stratificazione dello stereotipo, una stratificazione del femminile, della transessualità. Anche perché sarebbe molto riduttivo dire che Kassandra è una trans. Lei stessa dice “I’m not a man, I’m not a woman, it’s complicated, I’m Kassandra”; è un qualcos’altro, è una creatura quasi mitologica, un mostro che parla alla comunità, come direbbe Paul Preciado, “sono un mostro che vi parla”, quando si rivolge in un convegno agli psichiatri freudiani che “lo” semplificano con “invidia del pene”, lui dice che si rivolge a loro da Urano e rifiuta ogni categoria, reinventa la sessualità, e grazie alla sua fantasia loro non riusciranno a dire chi è, cosa è. Incasellare l’identità in un genere, o una professione, o un corpo significa essere succubi della geopolitica, del corpo come territorio di conquista, invece non essere definiti ti fa essere più libero, più libera, più potente.
[CM] Questo è molto politico da entrambi i lati, perché riesce a smontare sia le pressioni del mondo conservatore che a giocare verso il mondo della militanza che a volte è esso stesso fissato con le etichette. Quindi è una doppia critica, a entrambi gli spettri della questione. Hai parlato di stereotipi: la lingua parlata da Kassandra in qualche modo parte agendo uno stereotipo, nel senso che questo inglese maccheronico, con un accento un po’ balcanico è sicuramente una lingua stereotipata, poi c’è questo suo francese perfetto, queste paroline italiane che usa come puntelli con il pubblico…
[RLDS] La lingua è un inglese esperanto, scritto proprio così dall’autore; è la lingua che parla banalmente Sergio Blanco, che non parla bene inglese. Anche io, devo confessare, è una lingua che non amo molto, perché la avverto come una lingua imposta, la lingua del patriarcato, del capitalismo, del business; è volutamente una lingua imposta, alla quale Kassandra con la sua forte identità deve adeguarsi. Per questo ha questo accento particolare, che può sembrare greco, a volte un po’ latino, un po’ dell’Est all’inizio però poi prende varie sfumature perché Kassandra è abitata da vari corpi, da varie donne, da vari personaggi. È una lingua fatta a pezzi in qualche modo, come il corpo, infatti io ci ho tenuto a sottolineare, anche nella musica, tutte le ripetizioni delle parti del corpo, sia in positivo che in negativo; sia quando si trattava di sesso (il viso, il torso, le gambe, le mani, il pene), sia quando Clitennestra uccide Kassandra e le taglia la testa. Con il costume gigante da coniglio cucito addosso poi la regia ha voluto quasi un’anatomia delle passioni, un’anatomia del corpo, un’autopsia. Anche la lingua ha questa funzione. Kassandra parla una lingua della sopravvivenza e poi parla francese perché Blanco è anche francese e quindi ha citato Flaubert come autore per eccellenza perché diventa una specie di deus ex machina che fa morire le sue protagoniste: Flaubert fa suicidare Madame Bovary e fa schiantare anche Kassandra. La lingua e la voce sono prolungamenti del corpo, del desiderio di comunicare con qualcuno, di riverberare.
[VB] Kassandra dice di sé di essere un personaggio tragico, di raccontare la sua tragedia, anzi, le sue tragedie, perché c’è una specie di moltiplicazione di storie; anche il modo in cui mette in scena il suo corpo quando si colpisce nuda con la bomboletta e fa vedere le ferite è tragico. O ancora, questa morte finale, sulla quale ci chiedevamo se fosse ciclica perché la posizione in cui inizia lo spettacolo è la stessa in cui lo termina per cui: quante volte è morta? C’è la tragedia ma non c’è uno dei tratti ricorrenti della tragedia, e cioè il conflitto; non c’è neppure il coro, è lei ad incarnare tutti i punti di vista e quindi: in che senso questo spettacolo è tragico?
[RLDS] Dire tragico è già un fatto. In realtà, poi, il conflitto c’è, perché il coro diventa la polis a cui K si rivolge, e quindi lo spettatore, la spettatrice, le persone che sono lì ad ascoltare la sua storia, perché è una rarità per lei essere ascoltata e creduta. Per me vive anche il presupposto che dentro la storia di K c’è anche un’ora e dieci di un’attrice che va in scena. Ogni sera c’è un inizio, un centro e una fine: la vita che ogni sera si consuma sulla scena è tragica. Ogni volta la fine dello spettacolo è una piccola morte, e già questo è tragico, il fatto di doversene andare e rimanere nella solitudine di un camerino, nell’insicurezza del presente e del futurom nella paura di non essere “compresa”. Potrei essere una persona che dice di essere Kassandra ma magari è una bugiarda patologica. Il paradosso è che noi crediamo che lei sia Cassandra, ma lei potrebbe essere chiunque, quindi cosa significa dire la verità? Mentire la verità e dire il vero mentendo: questo è il grande conflitto che ha K. L’aspetto più tragico è il non essere mai creduta, il dover dire “adesso è possibile mostrare il sangue in diretta, gli omicidi”. La tragedia che lei viveva è che all’epoca di Sofocle, di Euripide, di Eschilo non si poteva mostrare il vero omicidio, non si potevano rispettare le unità di tempo, di luogo, di verosimiglianza. Oggi invece è all’ordine del giorno mostrare i corpi martoriati, i luoghi delle barbarie. Lei rappresenta, cita: è questa la grande tragedia, essere costretta a rappresentare epicamente la sua vita, oltre a sapere che sta morendo… deve comunque andare; ripete continuamente di avere fiducia nel futuro perché lei Vede, conosce il futuro eppure lei sa che sta andando a morire. Questo è un conflitto totale, è un conflitto interiore potente, è un kamikaze, una estremista del bene, una grande figura amorosa uccisa da Clitennestra e K se lo ricorda, rivede il suo corpo. Anche questo ricordare è tragico, una ferita continua. Lei lo dice, ma lo dice dopo il rave e cioè dopo che la gente si è divertita, e questo rende il tutto meno retorico. Ho lavorato sui contrasti di registro, in un’ora e dieci si creano diveri sballonzolamenti di emozioni.
[VB] Lei rivendica ciò che è, lo riconosce, ne ha coscienza. In effetti si percepisce un’infelicità di fondo molto marcata; la domanda sul tragico classico voleva essere provocatoria, perché in effetti lo spettacolo coincide col tragico, anche l’epilogo. Lei ha anche questo conflitto con sé per cui mostra un orgoglio sessuale, rivendica ciò che moralmente non viene accettato come l’incesto o l’essere orgogliosamente schiava sessuale, però poi lei stessa subisce se stessa, per cui è un costante conflitto.
[RLDS] Sì è un costante conflitto, lotta con se stessa e una ricerca di equilibrio, e l’equilibrio sta nell’oscillare tra bene e male, tra il giusto e lo sbagliato, tra cogliere quella goccia di piacere nel male e cercare di divertirsi: lei monta lo spettacolo, si diverte e c’è molta gioia in questo far mostra di sé, lei fa finta di essere un po’ timida ma in realtà non vede l’ora. Ha tanto da dire, non se ne vuole andare, ma poi vuole/deve andare, e si prende gli applausi perché è stanca.
[VL] Nello spettacolo c’è un bel gioco con degli elementi pop. Pirandello scriveva che Amleto non riesce a uccidere lo zio perché, a differenza di Oreste, non ha le divinità che gli indicano il sentiero. Questa Kassandra ha delle divinità, e se sì quali? Prima di Apollo/Bugs Bunny, c’è una sovrapposizione o coesistenza di questi elementi?
[RLDS] Sulla questione della divinità: K non è Oreste che sa la strada per uccidere la madre, non è Amleto, ma è un personaggio che ha le divinità contro: lei è condannata all’incomunicabilità, e questo per via di Apollo, che le sputa in bocca poiché K le aveva rifiutato le avances. Questo è un gesto estremamente erotico e sadomaso, serva-padrone, vittima-carnefice, e ha per sempre inficiato l’organo addetto all’amore, ai baci, alla parola, alla comunicazione, alla comprensione, all'”accesso”; è dovuta anche a questo la grande istrionicità e verbosità del testo, la cosidettasindrome di K (quella di non essere mai creduta). Il canto infatti è la forma comunicativa che ci ispirato subito. Sono nate quasi prima le canzoni dell’allestimento, suggestioni di testo per cui era interessante raccontare l’epica attraverso prima una ballata, poi un rave, poi il momento epico del coniglio greco e infine la citazione di Milva, la Ballata della ragazza annegata di Kurt Weill, che era perfetta per descrivere come “Dio si scordò di lei a poco a poco…” mentre andava giù nell’acqua, “prima scordò il viso poi i capelli e poi diventò una carogna tra tante carogne…”. Così si ha la visione della fine, anche se la fine arriva subito dopo, quando lei va a morire in macchina. Questa canzone è nata quando è morta Milva e ci sembrava un omaggio perfetto, una delle tante fortuite coincidenze.
[CM, VB, VL] Piccola curiosità finale sulla polis: ma quindi è Atene lo scenario?
[MVB] È una polis aperta, il testo nasce per le strade di Atene, però è ambientato in un parcheggio di una città qualsiasi. L’ideale all’inizio sarebbe stato allestirlo nel parcheggio di Paestum, dovremmo farlo lì! Perché c’è il tempio di Poseidone alle spalle e il parcheggio dove davvero c’è un grosso giro di prostituzione e di droga; per cui è una polis ma anche il luogo dell’incontro tra il contemporaneo e i fasti del passato. Il luogo diventa un po’ un non-luogo perché è una polis che è la nostra, la vostra, che racchiude tutte le città, come gli accenti che prende Roberta.
Le foto utilizzate per l’articolo sono di Serena Serrani
L'autore
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Redazione intermittente sulle arti sceniche contemporanee.