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(foto di Marzia Di Legge Benigna)
(foto di Marzia Di Legge Benigna)

“SID – fin qui tutto bene” mille schegge nell’assenza di un perché

di Debora Meluzzi

La rabbia di Sid è uno specchio che infrangendosi finisce inevitabilmente per travolgere chi si trova nei paraggi con una pioggia di schegge brillanti, affilate e irruente, come le parole dei suoi monologhi. Sid, seconda generazione, ragazzo italiano di famiglia africana, vive la discriminazione razzista e l’emarginazione di un’adolescenza trascorsa in periferia. Fasciata in una tuta bianca di un brand sportivo, la sua figura si staglia sullo sfondo nero di una scena minimale ed elegante. Ivan Bert e Max Magaldi con la batteria e l’elettronica seguono la tensione e il ritmo sincopato delle narrazioni di Sid, interpretato da Alberto Baubakar Malanchino. Anche lui è di seconda generazione e per più di un’ora rappa, balla e soffia sul microfono i pensieri del personaggio, insinuando nello spettatore il dubbio che non si tratti della sua vera storia.

Sid racconta delle ragazzate con suoi compagni per vincere la noia e la rabbia quotidiana della vita in un quartiere di periferia. Ad esempio a volte passa il tempo in stazione a farsi beffe dei turisti che hanno un atteggiamento affettato e mellifluo verso gli immigrati e verso chi gli ricorda un tale atteggiamento: umiliante e compiaciuta pietà invece dell’empatia di uno scambio alla pari. Lui e i suoi amici non possono permettersi i vestiti firmati e gli oggetti che nella nostra società sembrano necessari per dare un valore alle persone. Così squalificato dalla competizione per lo status, Sid sviluppa una ossessione per i sacchetti di plastica dei grandi brand. Addirittura li indossa in testa mentre si masturba fino a che non sta per soffocare e morire di piacere.

(foto di Marzia Di Legge Benigna)

Fra ferite dalla sua biografia, la fine della storia con la sua ragazza che non accetta un regalo fattole con i soldi ricavati dallo spaccio o la disperazione per il suicidio di un suo caro amico, vicino di casa. In una miriade di citazioni presenti nello spettacolo ecco quella più evidente e presente anche nel titolo, “fin qui tutto bene”. Fin qui tutto bene fino a che il proprio cuore non si lacera a brandelli una prevaricazione dopo l’altra. E come nel film L’odio di Mathieu Kasovitz l’amicizia con i coetanei rappresenta il senso di comunità e sicurezza in un contesto in cui si sente escluso dal mondo.

Fin qui tutto bene fin quando dalla mitragliatrice della sua bocca non iniziano a schizzare fuori i dettagli di alcuni omicidi commessi da Sid. Al suono battente della pioggia insieme a quello di un soffocamento riferisce delle persone che, come serial killer glamour, ha soffocato con sacchetti di marchi costosi. Soffoca ragazze di cui abusa alle feste, sul treno, soffoca un uomo che voleva si prostituisse per lui… Nemmeno il suo gusto eclettico, che gli fa apprezzare la più vasta cultura da Mozart, ai Joy Division a Hölderlin, lo risolleva dal baratro. All’ennesima richiesta di aiuto provocatoria e disperata a scuola ignorata dal mondo borghese degli adulti, si frantuma in mille pezzi. La scelta delle vittime si sposta via via su soggetti più vulnerabili fino a che non soffoca la sua ex ragazza in diretta streaming. Il dolore di Sid ha investito gli altri per accartocciarsi poi su se stesso, e il ragazzo cade a terra mentre aspetta di essere arrestato. Il rantolo straziante di una tromba perfora il petto e lì si insinua una delle mille schegge in cui Sid si è disintegrato.

Stordisce lo tsunami di detriti e rumori con cui il palco è stato inondato senza sosta per tutto lo spettacolo, e nonostante tutto ciò non si trova giustificazione che spieghi le azioni di adolescente che uccide più persone. Un serial killer, una persona malata, viene da tagliare corto. Come possono il senso di inferiorità e la discriminazione portare a tutto questo? La grammatica dei sentimenti e delle emozioni ha delle correlazioni ma non delle causalità, è un sistema che sfugge interpretazioni lineare. Il tarlo attanaglia lo spettatore sui perché di Sid. E nella riflessione si ripercorrono tutte quelle prevaricazioni quasi impercettibili che possono aver ricevuto anche nella nostra quotidianità il vicino di casa di seconda generazione, i compagni di classe con cognomi stranieri, i neri in stazione e qualsiasi persona che impariamo a catalogare sulla base dalle tracce visibili della sua etnia o status più che dalla reale conoscenza della sua personalità, delle sue azioni e dei suoi pensieri.

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