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Quarta giornata: bambole e voodoo

di Altre Velocità

Questi contributi fanno parte dello “Speciale Ipercorpo 2024”

Femina, spettatori allo specchio

Venerdì 13 settembre, 22:10. È da poco terminato Femina, spettacolo della compagnia Abbondanza/Bertoni. Nel cortile interno degli spazi dell’EXATR di Forlì, c’è un gran confrontarsi su ciò che abbiamo appena visto. Noi della redazione non siamo da meno. Sarebbe interessante provare a raccogliere le opinioni di altre persone per comporre un mosaico più grande di quel che riusciremmo a comporre da soli. L’idea ci piace e buttiamo giù un paio di domande.
Cominciamo prima a parlare con la ragazza dagli occhiali rossi. Lei condensa i suoi pensieri in una parola sola: specchio! «Le performer sul palco si muovevano come davanti a uno specchio. Molti dei loro gesti sono quelli che ognuna di noi compie: aggiustarsi una calza, disporsi di profilo per controllare la cellulite o se si è ingrassate o dimagrite. Di grande impatto era il loro sguardo fisso su di me, totalmente inespressivo! Durante la visione ho provato la sensazione di essere davanti a uno specchio: anch’io compio gli stessi gesti quando mi preparo per uscire».
Il ragazzo con la maglietta dei Pink Floyd usa la stessa immagine: «Erano i soliti gesti che si fanno davanti allo specchio, anche se totalmente spersonalizzati. Il volto delle protagoniste non era quello di chi si osserva prima di uscire. Mi sono sentito spaesato e non so se fosse a causa dei loro sguardi o per altro. L’intermittenza delle luci e della musica, sommata al ripetersi dei gesti, mi intrappolava in un loop dal quale mi aspettavo di uscire. Questa rottura non accadeva mai, così mi estraniavo. Mi sentivo “dentro e fuori”».
Non è dello stesso parere il ragazzo con la camicia a fiori: non riusciva a distogliere lo sguardo dalle quattro interpreti. Contrariamente, c’è stato anche chi ha sentito dentro di sé una spinta ad andare verso il palco, a voler divenire parte di quel che stava accadendo: «Ho trovato in quei gesti un profondo senso erotico e mi sono sentita chiamata a partecipare. Come se le performer volessero creare un contatto con tutti i presenti. Avevano una corporeità molto forte, erotica e fascinante!».
La ragazza col cappellino ci ha raccontato di una profonda necessità di portare ovunque uno spettacolo come questo: «Riflettermi in quei corpi è stato doloroso. Gesti che facciamo anche con molte fatiche. È uno spettacolo urgente da far vedere a tutti, donne e uomini».
C’era anche chi sottolineava come Femina potesse parlare davvero a chiunque: «Mi sono rispecchiato in quello che ho visto, specialmente nella loro ricerca del perfezionismo. Anche noi uomini tendiamo al perfezionismo. Anche i maschi vi si possono rispecchiare».
È stato interessante constatare come quasi tutte le persone intervistate avessero usato l’immagine dello specchio per raccontarsi, scovando nella scena uno strumento per indagare il proprio io.

a cura di Federico Lombardi

Voodoo e lo slancio oltre la propria mente

Totalizzante, incomprensibile, essenziale.  Sulla scena una luce soffusa e aranciata illumina il percorso da una sedia ad un albero, a cui la performer, Eleonora Sedioli, tenderà per mezz’ora, in una danza densa di sforzi, strazi e slanci in avanti. Nel teatro ricavato fra gli spazi ampi e industriali dell’EXATR il ritmo sferzante di una musica techno-industrial accompagna la messa in scena di Voodoo, spettacolo della compagnia Masque Teatro. La perfomer in vesti semplici e modeste, tenta di alzarsi dalla sedia e ricade più volte con le membra pesanti, in una perenne lotta contro l’immobilità. Ogni spettatore che assiste all’atto di cominciamento, può ragionare sui blocchi fisici o psicologici che lo incatenano nella sua quotidianità e sente addosso tutta la fatica della protagonista che, posseduta, pare non aver controllo sulla sua volontà. I suoi occhi sono in trance, mentre il corpo si stacca dalla sedia e, a poco a poco, guadagna terreno in continui tremori e contorsioni. La protagonista, rasata, scompone il suo corpo in movimenti definiti, ripetitivi e discreti fino a prendere sembianze androidi e androgine. Al ritmo incessante e veloce di proiettili, schegge che si infrangono e macchinari industriali, si associano impercettibili le risate sinistre e disperate di lei e voci registrate come di spiriti. Come ci spiegherà Lorenzo Bazzocchi, regista e ideatore di questo lavoro, fermato all’uscita dallo spettacolo, la musica di Voodoo è un’elaborazione ispirata ai suoni e ai ritmi velocissimi, per l’occasione rallentati, che caratterizzano la bird dance, praticata fin dall’antichità presso le popolazioni africane di Togo e Benin, luoghi d’origine della religione voodooista. Anche la danza proposta in scena si rifà alle movenze originarie, dove le gambe sono mosse ininterrottamente e paiono staccate dal busto immobile. Lo spostamento procede mentre la figura incespica e striscia sulla sabbia del suolo, poco prima di liberarsi delle scarpe e dei vestiti. Nuda continua a torcersi a terra e il suo sesso biologico pare perdere ogni importanza e andare ben oltre la dimensione terrena. Raggiunta la parte sottostante l’albero spoglio e rinsecchito, la danza prosegue con continue flessioni del tronco e e degli arti. Finalmente le dita stanno per sfiorare l’estremità di un ramo, quando le luci improvvisamente si spengono e la performer ricade a terra in posizione fetale. I fari rimbalzano da un capo all’altro del percorso durante gli applausi del pubblico e l’interprete rimane lì rannicchiata senza rivolgersi alla platea. Si esce dalla sala in silenzio e si gode della straordinarietà della performance appena vista. Riemersa la nostra coscienza chiedo indizi al regista. Mi suggerisce che si è appena assistito alla simulazione di un accesso all’altrove ispirato ai riti voodoo, inaccessibile ad ogni narrazione e comprensione cognitiva. Lo spettatore così può disimpegnare il cervello da ogni tentativo di discernimento, un po’ come avviene durante i riti voodoo, dove per entrare in contatto con il mistero si supera la propria mente. 

a cura di Debora Meluzzi

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