La “progenie infame” raccontata da Vandekeybus (e vista da Altre Velocità al festival Impulstanz di Vienna) è la più famosa d’occidente: i figli e le figlie di Zeus e Era, esseri divini eppure umanissimi sul palco del Volksteater di Vienna, prigionieri, come noi, dei loro desideri, aspirazioni, disperazioni.
In questo magnificente spettacolo Zeus (Daniel Copeland) e Hera (Lucy Black) non scendono mai dall’Olimpo, sempre contenuti da uno schermo gigante che troneggia su tutta la scena. Da lì litigano, si rinfacciano tradimenti e mancanze, discutono della prole, nelle parole che per loro ha creato la poetessa inglese Fiona Benson, autrice mai banale della riattualizzazione dei racconto, una turma “infantile e boriosa di disadattati, storpi, tossici e psicopatici”. La danza dei personaggi generati dalla coppia divina racconta in realtà un’altra storia, una storia umanissima e tragica che chiede soprattutto riconoscimento, attenzione e amore.
Testimone delle sorti tumultuose della stirpe divina il vaticinante Tiresia, qui impersonato dalla star del flamenco Israel Galvan, anche lui imprigionato non solo in uno schermo ma, come la Winnie di Giorni felici di Beckett, fino alla vita in un tavolo argenteo su cui percuote oggettini, tacchi, monete e nacchere, in un rullio furioso e muto, incalzante e impotente. Un profeta senza parola, incapace di ricucire un senso per gli dei che lo circondano, che batte i suoi vaticini in un codice ritmico oscuro e intraducibile.
Lo spettacolo vola tra acrobazie e arrampicate, tra sequenze di movimento mercuriali e vertiginose dove ogni performer restituisce al dio o alla dea che incarna una sua personalità che è fatta di movimento e di voce, di spazi conquistati alla gravità e di modalità della presenza.
C’è Artemide (una incredibile Paola Taddeo) indomita e giocosa, devastata dalla scelta di Zeus di assumere le sue sembianze per stuprare Callisto (Maria zhi Tortosa Seriano). C’è Ares (Adrian Thömmes), maestoso e sensuale, obliquo e ferino, e poi Atena (Cola Ho Lok Yee), sottile e affilata come il pensiero ma che brama di essere la favorita del padre. Afrodite (Lotta Sandborgh) morbida e avvolgente, a tratti quasi bambolesca nella sua infinita chioma dorata e insieme capace di furia potente. E ancora Apollo (Akim Abdoul Mlanao) luminosissimo e preciso, Ermes (Samuel Planas) scanzonato e inafferrabile e Dioniso (Rakesh Sukesh), per metà bolso e per metà belva. E soprattutto c’è Efesto, il dio storpio, interpretato dalla contorsionista e pittrice Iona Kwney che alimenta il fuoco dello spettacolo con la sua andatura sghemba e sbilenca, eternamente fuori luogo, eternamento rifiutato, eppure sempre al centro di tutto. Sui loro corpi la musica trascinante e irresistibile di Warren Ellis (Dirty Three).
Ancora una volta Vandekeybus riesce a dare corpo e voce a quella materia incandescente e informe in cui vita e narrazione si confondono,come sempre sostenuto da collaborazioni e presenze di livello stellare, per raccontare un’Olimpo fatto di uomini e donne appassionati e vinti.