Scattante, acqueo, imposto, perpetuo, coordinato. Questi i movimenti delle cinque giovani compagnie svizzere che si presentano sul palco del Palazzo dei Congressi la sera dell’11 giugno per inaugurare la seconda edizione del Lugano Dance Project (dall’11 al 16 giugno 2024).
Il gesto di Glory (Oriana Zeoli) in Not where, but Who è arrabbiato, i gesti scattanti della danza urbana isolano le parti del corpo e non comunicano con i movimenti fluidi della contemporanea che li seguono, come se due corpi convivessero nella stessa danzatrice. Glory sembra lottare con sé stessa, con la sedia, unico oggetto in scena. Il suo è un grido danzante, accompagnato da una voce fuoricampo che si rivolge in tono accusatorio al pubblico. La musica procede a contrazioni e rilasci come quelli che incrinano il corpo della performer. Glory sembra rivendicare una libertà di movimento per non essere prigioniera di alcuna etichetta, grida un’accusa verso un destinatario non specificato, affronta la propria identità artistica con rabbia ed energia, più che con reali domande. I movimenti poi si fanno più equilibrati e concentrici. Il contrasto pian piano si scioglie, si addolciscono le asprezze e gli spigoli del corpo. La componente popping e contemporanea si uniscono nel suo corpo, sancendo una pacificazione.
Senza spasmi e stacchi è invece il gesto in Aléa, del duo Lena Schattenberg – Simea Cavelti, che portano sul palco il movimento continuo e trasformante dell’acqua. Prima ben a contatto con la terra, come pesci che non possono staccarsi dall’acqua per respirare, i loro corpi pian piano si staccano dal pavimento, accompagnate da una musica che sembra riportare lo sciabordio del mare sulla battigia. Il movimento è così fluido da sfuggire, a volte, alla comprensione del suo senso, di una forma. Interpretano il moto continuo del liquido che non smette mai di trasformarsi, come non avesse limite alcuno. Perpetuo come AENAOΣ di Maxime Jeannerat, che non trasforma ma replica prima lentamente poi sempre più velocemente le stesse sequenze di movimenti attraversando il palco orizzontalmente, suggerendo più che un percorso una successione ripetitiva di gesti, come frammenti senza un disegno organico.
Ben delimitato ed esplorato in funzione di una porta-cornice che occupa il centro del palco è invece la danza di Tamara Mancini e Branca Scheidegger in Idiospect. Le due ballerine si alternano dentro e fuori dall’oggetto scenico, creando movimenti sincronici e speculari. In equilibrio sulla testa, l’una muove le gambe come l’altra muove le braccia. Tutto lo spazio interno alla cornice viene usato come appoggio e stimolo, finché anche la seconda danzatrice entra al suo interno. Ora il movimento si fa più vorticoso come se il limite diventasse spunto per nuove posizioni originali, imposte da una coabitazione. Dopo che entrambe escono da quella gabbia-finestra, fra le due si instaura un gioco di movimenti riflessi e ripetuti, che richiamano lo stile waacking. Il limite diventa il corpo delle due danzatrici, quello dell’una nei confronti dell’altra, testa a testa si scontrano in un gioco roteante di braccia. Ultimi a esibirsi sono i Cie Nous et Moi, compagnia composta da Charlotte Cotting, Estelle Kaeser, Adrien Rako e Anaïs Kauer che portano sul palco la danza urbana in Contraste. I movimenti coordinati e sincronici talvolta si evolvono in ripetizioni a canone o in aperti contrasti. I quattro si muovono sul palco geometricamente, creando sequenze a grappolo, a triangolo, in linea, disegnano lo spazio.
Nel corso dell’iniziativa, Reso – Rete Danza Svizzera ha permesso alle cinque compagnie, selezionate tramite concorso, di esporre la propria idea di danza contemporanea all’interno di un festival che ha una vocazione internazionali con artisti quali Ioannis Mandafounis, Michele Di Stefano, Christos Papadopoulos, Nicola Galli, Cindy Van Acker.