Intimità, forme mutevoli e luminosità, osservazione, sovrapposizione, avvolgimento. 1 meter closer è un intrufolamento reso palpabile dall’assidua prospettiva zenitale che ci introduce nell’intimità forzata, costretta, diversa, di questi giorni; svelata con la poetica del movimento e della danza. Si tratta di una creazione coreografica video con la regia di Valeria Civardi e Diego Tortelli e uscita in occasione della giornata internazionale della danza, il 29 aprile 2020, prodotta dalla Fondazione Ater Balletto, Centro di Produzione danza pubblico con sede a Reggio Emilia.
1 meter closer è uno di quei video che irrompono nell’anonimo scroll della homepage di Facebook e che non puoi fare a meno di guardare ossequiosamente fino alla fine: grazia espressa, cura delle forme, ritmi elettronici e sincopatici.
I danzatori ci permettono di scorgere delle emozioni sottili che i loro corpi trasformano in arabeschi. I colori sono sintonici, a volte composti, controllati, altre volte appaiono genialmente sfavillanti in contrasto con scenari dal pattern accattivante. I suoli vengono mostrati spaziosi, accolgono lo sguardo come per dire Vieni ad appoggiarti anche tu e i ballerini lo fanno: si raccolgono in posizioni intime sul floor, come se nella posizione fetale fosse più semplice curare l’incertezza dei giorni. Insieme ai loro corpi il nostro sguardo si propaga in quelle spirali che assumono la forma di torsioni, giri e cerchi.
Gli stati dei corpi in movimento risuonano in quelli “vicini” degli altri danzatori ma comunque lontani sicché cittadini. È come se i loro corpi si cercassero in un riverbero e un’eco continui, ininterrotti e che in questo richiamo ci fosse anche tutta la nostra presenza che viene rapidamente rapita e folgorata. Guardandolo sale un’emozione simile a un ossimoro che potremmo tenere stretto in mano per affrontare un po’ meglio la fine della quarantena: condivisione dell’assenza.
1 meter closer è uno di quei video che irrompono nell’anonimo scroll della homepage di Facebook e che non puoi fare a meno di guardare ossequiosamente fino alla fine: grazia espressa, cura delle forme, ritmi elettronici e sincopatici.
I danzatori ci permettono di scorgere delle emozioni sottili che i loro corpi trasformano in arabeschi. I colori sono sintonici, a volte composti, controllati, altre volte appaiono genialmente sfavillanti in contrasto con scenari dal pattern accattivante. I suoli vengono mostrati spaziosi, accolgono lo sguardo come per dire Vieni ad appoggiarti anche tu e i ballerini lo fanno: si raccolgono in posizioni intime sul floor, come se nella posizione fetale fosse più semplice curare l’incertezza dei giorni. Insieme ai loro corpi il nostro sguardo si propaga in quelle spirali che assumono la forma di torsioni, giri e cerchi.
Gli stati dei corpi in movimento risuonano in quelli “vicini” degli altri danzatori ma comunque lontani sicché cittadini. È come se i loro corpi si cercassero in un riverbero e un’eco continui, ininterrotti e che in questo richiamo ci fosse anche tutta la nostra presenza che viene rapidamente rapita e folgorata. Guardandolo sale un’emozione simile a un ossimoro che potremmo tenere stretto in mano per affrontare un po’ meglio la fine della quarantena: condivisione dell’assenza.
Chiara Capizzi
]]>L'autore
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Redazione intermittente sulle arti sceniche contemporanee.